Autore: by Antonello Camilotto
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15 giugno 2025
Nonostante l’uso diffuso di SPID e CIE per accedere ai servizi pubblici, il voto online resta un miraggio: tra timori di sicurezza, vincoli legali e resistenze politiche, la democrazia digitale in Italia è ancora ferma al palo. Nel 2025, in un’epoca in cui si può aprire un conto corrente, firmare contratti e accedere a servizi pubblici tramite SPID o Carta d’Identità Elettronica (CIE), resta una domanda cruciale e apparentemente paradossale: perché non possiamo ancora votare online? Nonostante le promesse della digitalizzazione, il voto elettronico in Italia è ancora un tabù, e non certo per mancanza di strumenti. SPID e CIE rappresentano due delle principali identità digitali utilizzate dai cittadini per accedere in sicurezza a una vasta gamma di servizi. Ma quando si tratta di scegliere un governo, tutto si ferma. Le potenzialità ci sono SPID (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e CIE sono sistemi di autenticazione sicuri, conformi agli standard europei e ampiamente utilizzati. Consentono già oggi operazioni sensibili, come accedere all’Agenzia delle Entrate, all’INPS o alla propria cartella sanitaria. Eppure, l’introduzione del voto online non è mai arrivata al banco di prova. ๏ปฟ Altri Paesi, come l’Estonia, hanno dimostrato che il voto elettronico è possibile: lì si vota online dal 2005 con un sistema sicuro e monitorato, che ha migliorato la partecipazione e abbattuto i costi. Ma l’Italia sembra frenata da un mix di timori tecnici, politici e culturali. I principali ostacoli Sicurezza e anonimato – Il principale ostacolo è garantire, contemporaneamente, l’identificazione certa dell’elettore e l’anonimato del voto. SPID e CIE servono proprio a identificare chi accede, ma il voto, per legge, deve essere segreto. Creare un sistema che separi in modo assoluto l’identità del votante dal contenuto del voto è un’impresa tecnica e giuridica tutt’altro che semplice. Rischi informatici – Il timore di attacchi hacker, manipolazioni del voto o malfunzionamenti dei server è reale. Un errore tecnico o una falla di sicurezza in un sistema di voto online potrebbe minare la fiducia dell’intero processo democratico. Divario digitale – Introdurre il voto online significherebbe escludere, almeno inizialmente, una parte della popolazione meno alfabetizzata digitalmente o priva di accesso stabile a internet. Questo potrebbe creare nuove disuguaglianze nella partecipazione elettorale. Mancanza di volontà politica – Infine, esiste un certo conservatorismo istituzionale: molti partiti e funzionari temono che cambiare le modalità di voto possa generare incertezze o alterare gli equilibri consolidati. E in un Paese in cui l’astensionismo cresce, un sistema più accessibile potrebbe ribaltare certi scenari. Le sperimentazioni (fallite o rimandate) Nel corso degli anni, si sono registrati diversi tentativi di sperimentazione. Nel 2020, in piena pandemia, si è parlato di estendere il voto online almeno ai cittadini italiani all’estero. Tuttavia, le sperimentazioni sono rimaste sulla carta, frenate da dubbi tecnici e giuridici. Anche alcune Regioni, come la Lombardia, hanno sperimentato forme di consultazione digitale, ma sempre in contesti non vincolanti o con forti limitazioni tecniche. Il futuro del voto (e della fiducia) Il vero nodo, al di là della tecnologia, è la fiducia. Il voto è il fondamento della democrazia, e ogni innovazione che lo riguarda deve essere inattaccabile, trasparente, verificabile. Nessuna tecnologia, per quanto avanzata, può essere adottata senza una solida architettura legale e un ampio consenso pubblico. Eppure, in un Paese dove milioni di persone utilizzano l’identità digitale per gestire la propria vita quotidiana, è lecito chiedersi se non sia il momento di iniziare un dibattito serio sul voto online. Una riflessione che metta al centro i cittadini, la sicurezza e l’equità. Perché la democrazia non può restare indietro rispetto alla tecnologia.