Le otto pioniere dell'informatica al femminile

by Antonello Camilotto


Sono molte le donne che hanno fatto la storia dell’informatica ma le cui teorie, idee e invenzioni fondamentali a stento vengono oggi nominate e studiate.


 Ada Lovelace Byron

Nata nel 1815 e morta a soli 36 anni, Ada venne concepita nel breve e infelice matrimonio fra il poeta George Gordon Byron e la nobile matematica Anne Isabella Milbanke. La madre la portò via dopo la separazione dal marito, e indirizzò la sua educazione verso le materie scientifiche con un occhio di riguardo per la matematica. La donna temeva infatti che Ada avrebbe potuto ricalcare i passi fallimentari del padre nel mondo della poesia.


Fin dai primi anni, caratterizzati da una salute cagionevole, Ada si rivelò una bimba prodigio. Grandi studiosi e matematici assunti da sua madre, ne seguirono e incoraggiarono attivamente gli studi fin dall’infanzia.


A 17 anni, durante un ricevimento, conobbe il matematico Charles Babbage, inventore che influenzò molto i suoi studi futuri. L’uomo le parlò del suo ultimo progetto, la Macchina Analitica, uno dei tasselli fondamentali della storia dell’informatica. Tale macchina era sostanzialmente il primo prototipo di computer meccanico, anche se non venne mai effettivamente completata. Babbage vedeva nel suo progetto solo una sfaccettatura limitata, ossia quella di un semplice calcolatore. Per l’epoca era comunque un progetto estremamente all’avanguardia.


Fu proprio Ada ad intravedere però le potenziali applicazioni ben più complesse e futuristiche di tale macchina, prevedendo che avrebbe cambiato le sorti dell’umanità in ambito scientifico, e prefigurando il concetto di intelligenza artificiale. Dalla collaborazione fra i due, e la corrispondenza col giovane ingegnere italiano Luigi Federico Menabrea, Ada elaborò un algoritmo per la Macchina Analitica, che le avrebbe consentito di calcolare i numeri di Bernoulli. Tale lavoro è stato riconosciuto al giorno d’oggi come il primo vero e proprio programma mai scritto per un computer. Ada Lovelace Byron è stata dunque a tutti gli effetti la prima programmatrice della storia dei computer, nonché la visionaria che intravide i primi abbozzi di un futuro informatico non troppo lontano.


๏ปฟSuor Mary Kenneth Keller

Nata nel 1913 e morta nel 1985 fu una donna di fede ma anche una pioniera dell’informatica.


Dopo aver preso i voti e ben due lauree in matematica e fisica, Mary fu la prima donna nella storia degli Stati Uniti ad ottenere un PhD in informatica, ossia un dottorato. La sua tesi trattava degli algoritmi necessari alla soluzione analitica di equazioni differenziali.


Nel 1958 partecipò allo sviluppo del BASIC, un linguaggio di programmazione ad alto livello. Nel 1965 invece, iniziò una brillante carriera nel campo dell’insegnamento al Clarke College di Dubuque nell’Iowa. Qui fondò il Dipartimento di Informatica del College e lo resse per ben vent’anni. La sua visione come informatica e soprattutto educatrice, era volta ad offrire grande importanza al processare e rendere fruibile la mole di informazioni già all’epoca disponibili, soprattutto per facilitarne l’apprendimento.


 Hedy Lamarr

Nata nel 1914 e morta nel 2000, oltre ad essere una diva del cinema, fu anche una grande inventrice. L’ex studentessa di ingegneria a Vienna, ha sviluppato insieme al compositore George Antheil un sistema di guida a distanza per siluri. Il brevetto consiste in un sistema di modulazione per la codifica di informazioni da trasmettere su frequenze radio, verso un’entità che li riceverà nello stesso ordine con il quale sono state trasmesse. La sua invenzione contribuì in modo decisivo alla sconfitta dei nazisti ed è alla base di tutte le tecnologie di comunicazione senza fili che usiamo oggi, dal wi-fi al Gps.


 Karen Spärck Jones

Nata nel 1935 e morta nel 2007, fu figlia dell’insegnante di chimica Owen Jones e della norvegese Ida Spärck. Dopo la laura in Filosofia e una breve carriera come insegnante, si dedicò del tutto al mondo dei computer. Divenne docente di informatica alla prestigiosa Cambridge, e fu per tutta la sua vita una forte sostenitrice dell’avvicinamento delle donne all’intero campo tecnologico.


Karen fu l’ideatrice del sistema alla base dei moderni motori di ricerca, con la creazione della cosiddetta funzione di peso td-idf. Questa funzione era capace di misurare la rilevanza e importanza di uno specifico termine in relazione ad uno o più documenti. Karen presentò questo lavoro in un articolo nel 1972 “A statistical interpretation of term specificity and its application in retrieval”, che venne poi concretizzato da Mike Burrows nel 1994 con la creazione del motore di ricerca Alta Vista. Un’opera essenziale per rendere più facilmente consultabili numerosissimi documenti destinati a moltiplicarsi e ammucchiarsi esponenzialmente nei decenni a venire.


 Grace Murray Hopper

Nata nel 1906 e morta nel 1992, questa donna esile e minuta fu una brillante matematica, informatica ed anche una militare statunitense. Dopo aver ottenuto un PhD in matematica nel 1934 a Yale, insegnò per due anni al Vassar College e in seguito si arruolò nella Riserva della Marina nel ’43. La sua genialità le offrì un posto in Marina nonostante non rientrasse negli standard minimi fisici, a causa della sua bassa statura. Per permetterle ciò venne persino emessa una deroga fatta su misura per lei.


A Grace la storia dell’informatica deve molto, in quanto fra le tante cose, il suo ruolo fu essenziale nella programmazione del COBOL, linguaggio adoperato ancora oggi in software commerciali di tipo bancario. A Grace dobbiamo anche l’utilizzo del termine bug per definire un malfunzionamento di un computer, e le relative operazioni di debugging.


 Radia Perlman

Nata nel 1951, è ancora oggi una celebre informatica soprannominata affettuosamente “la madre degli switch“. Dopo una laurea in matematica ed un dottorato in informatica al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), Radia ha donato al progresso informatico un contribuito storicamente essenziale, senza la quale oggi non avremmo internet così come lo conosciamo. Radia, fra i suoi numerosi contributi, è celebre per aver concepito l’algoritmo alla base del protocollo spanning tree, essenziale nel networking.


 Adele Goldberg

Nata nell’Ohio nel 1945, è tutt’ora una celebre informatica statunitense. Laureata in matematica con un master in informatica, ha ottenuto il PhD in scienze dell’informazione. È stata per diversi anni operativa presso il PARC, il Centro di ricerca Xerox a Palo Alto ed è stata la co-fondatrice della ParcPlace-Digitalk. I suoi contributi al mondo dell’informatica sono stati riconosciuti e premiati nel corso degli anni, ed è nota in particolare per il lavoro di sviluppo del linguaggio di programmazione Smalltalk, in collaborazione con Alan Kay.


 Anita Borg

Nata nel 1949 e morta nel 2003, l’informatica statunitense è stata colei che ha dato forse l’impulso maggiore a beneficio delle donne in campo informatico e tecnologico. Un apporto essenziale e ancora oggi estremamente attuale, atto ad incoraggiare la presenza femminile in un mondo che vede le donne ancora troppo assenti se non direttamente escluse da studio e lavori legati alle discipline tecnologiche.


Celebre per i suoi lavori come ricercatrice e programmatrice, la Borg fondò nel 1987 Systers, una rete di email per donne che lavoravano e studiavano nell’ambito della tecnologia con un’alta formazione a livello tecnico. Tale rete consentiva un ricco scambio di consigli ed esperienze nel campo, ma costituì anche il terreno fertile per piccole ma rilevanti lotte sociali. Una delle poche argomentazioni non tecniche che vennero trattate in Systers riguardò ad esempio l’uscita nel 1992 da parte di Mattel, di una Barbie che recitava una battuta come “l’ora di matematica è tosta“. Tale giocattolo, per quanto apparentemente innocuo, si sarebbe potuto rivelare piuttosto dannoso per la formazione delle bambine, alimentando fin dall’infanzia lo stereotipo che vuole la matematica come materia naturalmente più indirizzata ai maschi. La protesta sorta da Systers portò alla rimozione di quella frase dai microchip della celebre bambola.


Fra le imprese più grandi di Anita Borg sempre in ambito femminile, vi furono la creazione della Grace Hopper Celebration of Women in Computing nel 1994 e la fondazione dell’Institute for Women and Technology nel 1997. La Grace Hopper, in omaggio alla celebre informatica militare statunitense, fu una conferenza che fondò in collaborazione con la collega Telle Whitney, allo scopo di radunare un gran numero di donne del campo della tecnologia. Durante la prima conferenza nel 1994 a Washington DC ottennero una partecipazione di 500 donne.


L’Institute for Women and Technology invece, è una compagnia che venne creata da Anita ricalcando i suoi valori principali in merito alla diffusione e potenziamento dei mestieri tecnologici fra le donne. L’istituto che nel tempo si è accresciuto acquisendo rilevanza internazionale, svolge ancora oggi un ruolo importante nel consentire sviluppo, connessione e opportunità di accrescimento del ruolo delle donne che lavorano in campo tecnologico. Non mancano dunque incentivi alla formazione o premi come il Technical Leadership Abie Award. Un compenso di ben 20.000 dollari, assegnato durante le celebrazioni in onore di Grace Hopper, alle donne che hanno contribuito a creare e progettare prodotti o servizi tecnologici di grande rilevanza in campo sociale, del business o di grande impatto per la comunità femminile nella tecnologia. All’istituto è stato oggi aggiunto il nome della celebre informatica, in un omaggio importante di cui avere sempre memoria.

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Autore: by Antonello Camilotto 11 settembre 2025
Il futuro del digitale non è più soltanto sulla Terra. Con il progetto Lunar Vault, il primo datacenter lunare, l’umanità compie un passo che fino a pochi anni fa apparteneva solo alla fantascienza. Un’infrastruttura tecnologica costruita direttamente sul nostro satellite naturale, capace di custodire e gestire dati in un ambiente estremo e affascinante. Perché portare i dati sulla Luna? Dietro questa impresa c’è un’idea semplice ma visionaria: liberare la Terra da parte del peso energetico e ambientale dei datacenter tradizionali. Lunar Vault sfrutta i poli lunari, dove la luce del Sole è presente quasi tutto l’anno, garantendo un flusso costante di energia solare. Inoltre, il vuoto spaziale e le basse temperature offrono condizioni naturali che possono essere utilizzate per il raffreddamento dei server. Un altro aspetto non trascurabile è la sicurezza: un datacenter sulla Luna è praticamente al riparo da disastri naturali, attacchi fisici o sabotaggi, diventando un luogo ideale per ospitare i dati più sensibili del pianeta. Le sfide di Lunar Vault La realizzazione del progetto non è stata priva di ostacoli. I tecnici hanno dovuto affrontare il problema delle radiazioni cosmiche, che minacciano i componenti elettronici, e sviluppare sistemi robotici autonomi capaci di costruire la struttura senza la presenza costante di astronauti. Anche le comunicazioni richiedono tecnologie avanzate: la trasmissione dei dati avviene tramite collegamenti laser ad altissima velocità, con un ritardo minimo di circa 1,3 secondi tra Terra e Luna. Un simbolo di progresso e potere Lunar Vault non è solo un’infrastruttura tecnologica: è anche un simbolo geopolitico. Avere il controllo di un datacenter nello spazio significa conquistare un vantaggio strategico, aprendo la strada a un’economia digitale interplanetaria. Allo stesso tempo, sarà una risorsa per la ricerca scientifica, offrendo supporto immediato alle missioni spaziali e alla gestione dei dati provenienti da esperimenti lunari e futuri viaggi verso Marte. Un nuovo orizzonte Con Lunar Vault si apre una nuova pagina della storia digitale. La Luna diventa non solo un luogo da esplorare, ma anche un nodo vitale per le reti del futuro. Oggi custodire i dati tra le stelle può sembrare un’idea visionaria, ma domani potrebbe diventare la normalità. Il cielo non è più il limite: ora i nostri file viaggiano oltre l’atmosfera, trovando rifugio in una cassaforte di dati sospesa nello spazio. Vuoi che ti proponga anche una versione più breve, da quotidiano online, con un taglio da notizia flash?
Autore: by Antonello Camilotto 11 settembre 2025
Dal 2019, la Russia sta sviluppando il progetto Runet, una rete Internet nazionale con l'obiettivo di ridurre la dipendenza dal web globale e rafforzare il controllo sulle informazioni all'interno dei confini nazionali. Questo progetto mira a incanalare il traffico web attraverso nodi controllati dallo Stato e a implementare sistemi avanzati di filtraggio e sorveglianza, simili al "Great Firewall" cinese. Nonostante gli sforzi del governo russo, la completa disconnessione dalla rete Internet globale non è ancora avvenuta. Il Paese continua a dipendere in larga misura da tecnologie e infrastrutture estere. Tuttavia, il controllo sulle attività online è aumentato significativamente: negli ultimi anni, Mosca ha bloccato o limitato l'accesso a piattaforme occidentali come Facebook e X (precedentemente Twitter) e ha intensificato le restrizioni sull'uso delle VPN, strumenti utilizzati dai cittadini per aggirare i blocchi. La legge sull'Internet sovrano, entrata in vigore il 1° novembre 2019, impone agli operatori di telecomunicazioni l'installazione di apparecchiature statali per analizzare e filtrare il traffico, consentendo al Roskomnadzor, l'ente federale russo per la supervisione delle telecomunicazioni, di gestire centralmente il traffico Internet e limitare l'accesso ai siti vietati. Nonostante questi sviluppi, la realizzazione completa di un Runet autonomo presenta sfide significative. La Russia ospita migliaia di provider Internet, rendendo complessa l'implementazione di un controllo centralizzato. Inoltre, la dipendenza da tecnologie e software stranieri complica ulteriormente l'obiettivo di una rete completamente sovrana. In sintesi, mentre la Russia ha compiuto passi significativi verso la creazione di un Internet "sovrano", il processo è ancora in corso e presenta numerose sfide tecniche e politiche. Il controllo sulle informazioni online è aumentato, ma la completa indipendenza dalla rete globale rimane un obiettivo non ancora raggiunto.
Autore: by Antonello Camilotto 11 settembre 2025
Nell'epoca dell'iperconnessione e della comunicazione istantanea, la persuasione ha subito una profonda trasformazione. Oggi si parla sempre più spesso di Persuasione 2.0, un'evoluzione della classica arte del convincere che si muove tra algoritmi, social media, intelligenza artificiale e nuovi linguaggi digitali. Ma cosa significa esattamente? E in che modo influisce sulle nostre decisioni quotidiane? Cos’è la Persuasione 2.0? La Persuasione 2.0 è l’insieme di strategie, tecnologie e dinamiche psicologiche che mirano a orientare pensieri, comportamenti e decisioni nell’ambiente digitale. A differenza della persuasione tradizionale — basata sul rapporto diretto, sull’oratoria o sul marketing classico — quella 2.0 si fonda su: Big data e profilazione: ogni nostra azione online lascia tracce. Queste informazioni vengono raccolte e analizzate per costruire messaggi personalizzati, capaci di parlare al singolo utente con una precisione mai vista prima. Automazione e IA: chatbot, sistemi di raccomandazione, intelligenze artificiali generative. Tutti strumenti in grado di veicolare contenuti persuasivi su larga scala e in tempo reale. Social proof digitale: like, commenti, recensioni e follower sono diventati metriche persuasive, simboli di approvazione sociale che influenzano le scelte degli utenti. Design comportamentale (nudge design): interfacce e user experience sono progettate per orientare l’utente verso determinate azioni, sfruttando bias cognitivi e microinterazioni. Le tecniche persuasive nell’ambiente digitale Nel contesto della Persuasione 2.0, le tecniche classiche vengono adattate e potenziate: Storytelling algoritmico: i contenuti narrativi vengono costruiti (o selezionati) in base agli interessi dell’utente. Netflix, TikTok e Spotify usano la personalizzazione narrativa per fidelizzare. FOMO (Fear of Missing Out): notifiche push, offerte a tempo limitato e “ultimi pezzi disponibili” stimolano l’urgenza e il desiderio di non restare esclusi. Retargeting pubblicitario: un annuncio che ci segue ovunque non è un caso. È una strategia mirata a rafforzare l’impatto persuasivo ripetendo il messaggio nel tempo e nei contesti più rilevanti. Influencer marketing: le figure pubbliche digitali diventano canali persuasivi potenti, grazie alla fiducia e al senso di vicinanza che instaurano con i follower. Implicazioni etiche e sociali La potenza della Persuasione 2.0 solleva interrogativi rilevanti. Quando la persuasione diventa manipolazione? Dove si colloca il confine tra coinvolgimento e condizionamento? La personalizzazione estrema può rafforzare le bolle informative, limitando l’esposizione a idee differenti. Inoltre, la capacità delle piattaforme di anticipare e influenzare i desideri degli utenti pone questioni su libertà di scelta, autonomia cognitiva e responsabilità degli attori digitali. Serve una nuova consapevolezza? La Persuasione 2.0 non è né buona né cattiva di per sé. È uno strumento potente, e come tale richiede competenza e coscienza critica da parte sia di chi la utilizza sia di chi la subisce. Per affrontarla serve un’educazione digitale che vada oltre la tecnica, abbracciando anche l’etica, la psicologia e la sociologia. Nel mondo della persuasione digitale, chi sa leggere i meccanismi è anche chi può scegliere davvero.
Autore: by Antonello Camilotto 10 settembre 2025
Il termine Digital Detox indica la scelta consapevole di ridurre o sospendere temporaneamente l’uso di dispositivi digitali come smartphone, computer, tablet e social network. È una pratica che nasce dall’esigenza di ristabilire un equilibrio tra la vita online e quella offline, sempre più minacciato dall’iperconnessione tipica della società moderna. Perché nasce il bisogno di Digital Detox? Negli ultimi anni, il tempo trascorso davanti agli schermi è cresciuto in modo esponenziale. Notifiche continue, messaggi, email e aggiornamenti costanti ci tengono in uno stato di “allerta digitale” che può generare stress, ansia e difficoltà di concentrazione. Il Digital Detox nasce quindi come risposta a: sovraccarico informativo, causato dal flusso incessante di notizie e contenuti; dipendenza da smartphone e social, che porta a controllare compulsivamente le notifiche; riduzione della qualità del sonno, legata alla luce blu degli schermi e all’uso serale dei dispositivi; calo della produttività, dovuto alla frammentazione dell’attenzione. Benefici del Digital Detox Prendersi una pausa dal digitale non significa rinunciare alla tecnologia, ma imparare a utilizzarla in modo più equilibrato. I principali vantaggi includono: maggiore concentrazione e produttività; riduzione dello stress e dell’ansia; miglioramento delle relazioni interpersonali, grazie a una comunicazione più autentica e senza distrazioni; migliore qualità del sonno; più tempo libero da dedicare a hobby, lettura o attività all’aperto. Come praticare il Digital Detox Non esiste un unico modo per intraprendere un percorso di Digital Detox: ciascuno può adattarlo al proprio stile di vita. Alcune strategie semplici sono: stabilire orari precisi in cui non usare dispositivi elettronici (ad esempio durante i pasti o prima di dormire); disattivare le notifiche non essenziali; dedicare almeno un giorno alla settimana senza social network; praticare attività che non richiedono tecnologia, come sport, meditazione o passeggiate; usare applicazioni che monitorano e limitano il tempo trascorso online. ๏ปฟ Il Digital Detox non è una moda passeggera, ma una pratica sempre più necessaria per preservare il benessere psicofisico. In un mondo dove la connessione è costante, scegliere di “staccare” diventa un atto di cura verso se stessi, utile a ritrovare equilibrio, consapevolezza e autenticità nei rapporti con gli altri e con il proprio tempo.
Autore: by Antonello Camilotto 9 settembre 2025
Nel mondo digitale di oggi, i blog sono diventati una parte integrante delle nostre vite online. Da fonti di informazioni personali a vere e proprie piattaforme di condivisione di conoscenze, i blog hanno una storia affascinante. In questo articolo, esploreremo la nascita del blog e la sua evoluzione nel corso degli anni. I primi passi La storia del blog risale agli anni '90, quando l'Internet stava iniziando a diffondersi nel mondo. Mentre molti siti web erano statici e controllati da poche persone, il concetto di "web log" o "blog" ha iniziato a prendere forma. Il termine "web log" fu coniato da Jorn Barger nel 1997 per descrivere la pratica di tenere un diario online di link interessanti. Questi primi blog erano essenzialmente elenchi di collegamenti e riflessioni personali, spesso aggiornati manualmente. La piattaforma di blogging di successo Il vero cambiamento avvenne nel 1999, quando Pyra Labs introdusse Blogger, una piattaforma di blogging che rese più accessibile la creazione di un blog personale. Blogger consentiva agli utenti di creare e gestire facilmente i propri blog senza la necessità di conoscenze tecniche approfondite. Questa piattaforma aprì le porte a milioni di persone che volevano condividere le proprie idee e esperienze online. La popolarità dei blog Con l'avvento di piattaforme di blogging come Blogger, la popolarità dei blog ha iniziato a crescere rapidamente. Le persone hanno scoperto che potevano creare contenuti personalizzati, condividere le proprie passioni e connettersi con gli altri attraverso i blog. I blog sono diventati un luogo in cui le persone potevano esprimere le proprie opinioni, fornire consigli, documentare i viaggi e molto altro ancora. La trasformazione dei blog in professione Negli anni successivi, i blog hanno cominciato a trasformarsi in fonti di reddito per alcuni. Gli inserzionisti hanno riconosciuto il potenziale dei blog come piattaforme pubblicitarie e hanno iniziato a collaborare con i blogger per promuovere i loro prodotti o servizi. Questo ha dato vita a una nuova forma di lavoro: il blogger professionista. Alcuni blogger sono riusciti a monetizzare le proprie passioni e talenti, trasformando il blogging in una vera e propria professione. L'evoluzione dei blog Con il passare degli anni, i blog hanno continuato a evolversi. Sono emerse piattaforme di blogging più avanzate e personalizzabili, consentendo ai blogger di creare siti web unici e accattivanti. I blog si sono arricchiti di immagini, video, podcast e interazioni sociali. Inoltre, con l'avvento dei social media, i blog hanno iniziato a integrarsi in un ecosistema più ampio, consentendo agli utenti di condividere i propri contenuti su diverse piattaforme e raggiungere un pubblico più vasto. La nascita del blog ha aperto nuove possibilità nella comunicazione digitale. Dai suoi umili inizi come elenco di collegamenti, il blog è diventato una forma di espressione personale, di condivisione di informazioni e di guadagno economico. Oggi, i blog sono una parte essenziale del panorama digitale, offrendo una vasta gamma di contenuti che spaziano dagli argomenti più seri a quelli più leggeri. La loro evoluzione continua a essere guidata dall'innovazione tecnologica e dalla voglia delle persone di condividere le loro storie con il mondo. ๏ปฟ
Autore: by Antonello Camilotto 9 settembre 2025
Il termine malware deriva dall’unione di “malicious” e “software” e indica qualsiasi programma informatico creato con l’intento di danneggiare un sistema, rubare informazioni o sfruttare risorse senza il consenso dell’utente. La sua storia è strettamente intrecciata con l’evoluzione dei computer e di Internet. Gli anni ’70 e ’80: i primi esperimenti I primi esempi di malware non avevano scopi criminali, ma erano perlopiù esperimenti accademici o dimostrazioni tecniche. Creeper (1971) : considerato il primo virus informatico, si diffondeva tra i computer DEC su rete ARPANET, mostrando il messaggio “I’m the creeper, catch me if you can!”. Elk Cloner (1982) : uno dei primi virus a colpire personal computer, diffondendosi tramite floppy disk sui sistemi Apple II. In questa fase, il malware era più che altro una curiosità tecnologica. Anni ’90: la diffusione di massa Con la popolarità dei PC e di Internet, i virus iniziarono a diffondersi rapidamente. Virus come Michelangelo o Melissa causarono enormi disagi, infettando migliaia di macchine in pochi giorni. Nacquero i primi antivirus, con lo scopo di individuare e rimuovere queste minacce. I malware iniziarono ad avere un impatto economico concreto, danneggiando aziende e utenti. Anni 2000: worm, trojan e botnet La crescente connessione a Internet aprì nuove possibilità ai cybercriminali. Worm come ILOVEYOU (2000) e Code Red (2001) sfruttavano vulnerabilità per diffondersi in modo autonomo. I trojan iniziarono a camuffarsi da software legittimi per ingannare gli utenti. Le botnet, reti di computer infetti controllati da remoto, divennero strumenti potenti per inviare spam o lanciare attacchi DDoS. Anni 2010: cybercrime organizzato Il malware si trasformò in un business. Gruppi criminali iniziarono a sviluppare software dannoso con fini economici. Ransomware come Cryptolocker e WannaCry cifravano i dati degli utenti chiedendo un riscatto in criptovalute. I malware bancari miravano a rubare credenziali e fondi. Emersero i kit di exploit venduti nel dark web, che abbassarono la barriera d’ingresso al cybercrime. Oggi: minacce sofisticate e mirate Il malware moderno è sempre più complesso e mirato. I rootkit e gli spyware cercano di restare nascosti il più a lungo possibile. I malware industriali, come Stuxnet, hanno mostrato che queste armi digitali possono persino sabotare infrastrutture critiche. Oggi il ransomware continua a essere la minaccia più redditizia, spesso gestito come un vero e proprio servizio (Ransomware-as-a-Service). La storia del malware riflette l’evoluzione della tecnologia e delle società digitali. Da semplici esperimenti, si è trasformato in uno strumento di criminalità organizzata, guerra informatica e spionaggio. Oggi la sfida principale non è solo tecnica, ma anche culturale: diffondere la consapevolezza e adottare comportamenti sicuri rimane il miglior modo per difendersi.
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