Cos'è un'account takeover

Per account takeover si intende la compromissione di un account privato tramite tecniche di hacking di vario genere.


Il significato di takeover corrisponde in italiano ad “acquisizione”: termine da intendersi con accezione prettamente negativa e con fini esclusivamente illeciti.


Il presupposto è che l’hacker entri in possesso delle credenziali di accesso, impiegando le più disparate truffe, tecniche di esfiltrazione o compravendita sul dark web.


Una volta ottenuto l’accesso all’account, il pirata informatico si premura di impedire al legittimo proprietario di accedere i propri profili, modificandone password e username. In tal modo, potrà usufruirne a suo piacimento potenzialmente a tempo illimitato.


Nella maggior parte dei casi, l’obiettivo degli hacker è ottenere un profitto economico dalla loro attività criminale. Difatti, ricorrono spesso al ricatto in seguito al furto di dati informazioni sensibili.


Nel caso di singoli cittadini digitali l’attacco è piuttosto diretto. Nel caso in cui l’obiettivo sia un’organizzazione, l’account aziendale compromesso viene sfruttato come punto di accesso privilegiato per penetrare nei sistemi.


Account takeover Vs. Identity Theft: qual è la differenza


Molto spesso, l’account takeover viene confuso con l’identity theft, ovvero il furto di identità digitale. Certamente, in entrambi i casi si verifica un furto di informazioni eseguito a fini illeciti. Tuttavia, sebbene il confine sia molto labile, si può affermare che:

  1. se, da un lato, chi compie account takeover si “limita” a rubare informazioni per un ritorno economico
  2. dall’altro, l’identity theft comporta la compromissione dell’identità online e offline della vittima


In quest’ultimo caso, infatti, gli hacker prendono possesso dei profili social degli utenti, pubblicando post e messaggi a loro nome e avviando una vera e propria campagna diffamatoria a spese dell’utente. Nonostante ciò, è fuor di dubbio che entrambi gli attacchi investano non soltanto la sfera tecnologica o economica, ma anche quella psicologica ed emotiva.


Account takeover: da cosa è causato


Generalmente, l’accesso illecito e il furto di account sono facilitati dagli utenti finali, che spesso non seguono tutte le buone norme di igiene delle password o sono incapaci di riconoscere i tentativi di phishing.


Tuttavia, ci possono essere delle vulnerabilità strutturali in alcune applicazioni, che possono agevolare notevolmente il lavoro degli hacker.

Esistono una pletora di attacchi, sia “tecnici” che di ingegneria sociale, che possono portare alla compromissione di un account.

Analizziamoli ed esaminiamone insieme le conseguenze.


Phishing


Il Phishing può essere condotto sia su larga scala (spear phishing) che sul singolo utente (whaling phishing).

Qui, l’hacker usa varie tecniche per cercare di frodare l’utente. Affinché la vittima gli consegni le credenziali, l’hacker può inviare finte mail di verifica account, promozioni, sconti ecc.

In ambito aziendale, si è stati sicuramente avvertiti di evitare e-mail sospette: questo perché la posta elettronica è il principale canale su cui viaggiano le campagne di phishing.


Brute-force, dizionari, credential stuffing


Concettualmente sono le prime tecniche che potrebbero venire in mente. Non richiedono necessariamente l’estorsione della password direttamente dall’utente, come nel phishing.

Possono avvenire senza interazioni, ma dipendono fortemente dal mancato rispetto delle buone norme sulla creazione e gestione delle password.


  • Gli attacchi brute-force generano combinazioni alfanumeriche casuali
  • Quelli a dizionario utilizzano database di password più utilizzate, talvolta filtrate in base all’ubicazione della vittima
  • Nel credential stuffing vengono sfruttate le password di un data-leak precedente e usate per accedere su altri servizi


Quest’ultima tecnica sottolinea un’altra responsabilità a carico delle organizzazioni. La gestione delle password deve essere diligente. Ogni volta che non vengono rispettati gli standard di sicurezza nella comunicazione e nello storage delle password, si creano le condizioni favorevoli alla loro esposizione e a furti di dati di ingente portata e gravità.


Presenza di malware sui dispositivi


Un utente distratto potrebbe scaricare dei file compromessi contenenti malware.



Keylogger e Trojan, ad esempio, agevolano le attività criminali degli hacker, anche nell’ambito degli account takover:

  • i keylogger tracciano le battute sulla tastiera mentre l’utente digita username e password
  • alcuni trojan, invece, sono appositamente progettati per trafugare dati sensibili e credenziali


Vulnerabilità in applicazioni e plug-in


Questa volta l’utente finale può farci ben poco. Il problema può risiedere in vulnerabilità di applicazioni o servizi di Terze Parti.

Una vulnerabilità a questo livello potrebbe affliggere chiunque interagisca con il servizio. Potenzialmente, questa problematica potrebbe esporre dati sensibili all’hacker capace di sfruttarla, arrivando anche a colpire diverse organizzazioni contemporaneamente.


Attacchi Man-in-the-middle


In un attacco MitM, l’aggressore si pone a metà strada tra l’utente e il servizio con il quale sta interagendo. Durante l’intercettazione, alcune informazioni potrebbero contenere delle credenziali non opportunamente protette da crittografia.

Da lì, il passo successivo è intraprendere un attacco mirato, forte delle credenziali appena ricevute.

Anche qui l’utente finale può osservare alcune regole, al fine di prevenire il furto di informazioni importanti. Tra le altre, ricordiamo di evitare di effettuare operazioni delicate (es. online banking) se si sta utilizzando una rete pubblica o, in generale, non si conoscono gli standard di sicurezza di una rete.


Conseguenze del furto di account


Se la compromissione dell’account va a buon fine, l’attaccante ottiene i privilegi e le facoltà dell’utente violato.

Perciò si profilano vari risvolti.


Profitto diretto. L’attaccante rivende le credenziali appena trafugate su piattaforme “di settore”, ovviamente illegali. Oltre ad essere destinate ad un utilizzo personale, le credenziali sono anche alla mercè del miglior offerente. Conseguenza diretta è l’aumento del numero di attacchi subiti.


Furto di dati. Una volta ottenute le credenziali, l’attaccante ha la facoltà di accedere ad ogni tipo di dato privato. A questo punto le informazioni vengono esfiltrate. Tra queste potrebbero esserci numeri di carte di credito o addirittura documenti personali utili all’identificazione. I dati rubati vengono messi in vendita o utilizzati come leva contrattuale per l’estorsione di un riscatto.


Iniezione di malware. Molti virus possono rivelarsi molto efficaci se acquisiscono privilegi di sistema anche minimi. Nel caso di account takeover, è possibile immettere dei malware direttamente all’interno del sistema. Il fine è sempre di ottenere una situazione nella quale si possa chiedere un riscatto. Alternativamente, i malware installati aiuteranno l’attaccante in futuri tentativi di offesa.


Creazione di condizioni favorevoli a ulteriori attacchi. Come già accennato, il furto di un account può gettare le basi per una catena di attacchi successiva. Alternativamente, le credenziali trafugate sono memorizzate in dizionari e usate per attacchi di credential stuffing su altre piattaforme.


Libertà di movimento in un network. La violazione di un account può rappresentare il punto d’entrata per un network altrimenti sicuro e robusto. Una volta entrato, l’hacker punta ad ottenere, tramite varie tecniche, ulteriori privilegi al fine di causare più danni possibile ed ottenere profitto.


Prevenzione e mitigazione del rischio di account takeover


Abbiamo visto che le possibili debolezze sono da rintracciare sia a livello di singolo utente che a livello di organizzazioni. Pertanto, la prevenzione passa sia dalla sensibilizzazione del personale che dall’implementazione di funzionalità specifiche.


Prevenzione


La principale causa di account takeover è la scarsa cura nell’applicazione delle buone norme di sicurezza degli account.

Precedentemente abbiamo identificato il phishing come uno dei principali strumenti con i quali si arriva all’account takeover. Per limitare la sua efficacia, una delle soluzioni preventive più impattanti è la formazione.


Nel caso delle aziende, formare il personale su:

  • recenti tecniche di raggiro
  • gestione e creazione di password sicure
  • importanza dell’autenticazione a due fattori


può ridurre il numero di tentativi di attacco andati a segno.


Esistono anche delle soluzioni tecniche che combattono il phishing. I provider di posta elettronica, infatti, spesso forniscono veri e propri filtri anti-phishing, i quali bloccano le e-mail provenienti da domini sospetti.

Infine, per evitare che gli account siano vulnerabili per colpa di bug o falle di sicurezza, è fondamentale testare periodicamente la robustezza delle applicazioni, mediante Vulnerability Assessment o Pentest.

Anche i protocolli di rete vanno valutati attentamente, per evitare che le credenziali che viaggiano su internet vengano intercettate e decodificate.


Mitigazione


Anche se l’account è stato compromesso, è sempre possibile ridimensionare l’azione offensiva. Ovviamente queste mitigazioni vanno implementate in ottica preventiva.


Approccio Zero-trust Security. Questo approccio complica la vita degli attaccanti, in quanto ogni richiesta è rifiutata finché non sono verificati dei parametri univoci. Ad esempio, sono richieste ulteriori assicurazioni sull’identità di chi sta interagendo con il sistema. Una metodologia zero trust capillare è in grado di identificare richieste sospette in breve tempo, salvando il sistema da danni maggiori.


Sandboxing. Essenzialmente, vuol dire creare compartimenti stagni. Quandanche un malware riuscisse a proliferare in un dato ambiente, questa tecnica ne bloccherebbe l’espansione al resto dell’infrastruttura.


Conclusioni


La compromissione di un account rappresenta una violazione critica. Da questa posizione, un attaccante può:

  • muoversi all’interno del sistema violato
  • trafugare dati
  • acquisire maggiori privilegi


Un account bucato è la base di appoggio per successivi attacchi, che gli hacker possono usare per le più svariate finalità illecite.

Non resta, quindi, che applicare le best practice raccomandate di password hygiene, security testing e formazione del personale. Senza dimenticare approccio Zero-Trust, filtri anti-spam e anti-phishing, e impiego intelligente del sandboxing.


© 𝗯𝘆 𝗔𝗻𝘁𝗼𝗻𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗖𝗮𝗺𝗶𝗹𝗼𝘁𝘁𝗼

Tutti i diritti riservati | All rights reserved



Informazioni Legali

I testi, le informazioni e gli altri dati pubblicati in questo sito nonché i link ad altri siti presenti sul web hanno esclusivamente scopo informativo e non assumono alcun carattere di ufficialità.

Non si assume alcuna responsabilità per eventuali errori od omissioni di qualsiasi tipo e per qualunque tipo di danno diretto, indiretto o accidentale derivante dalla lettura o dall'impiego delle informazioni pubblicate, o di qualsiasi forma di contenuto presente nel sito o per l'accesso o l'uso del materiale contenuto in altri siti.


Autore: by Antonello Camilotto 3 maggio 2025
Il 3 maggio 1978 segna una data cruciale, anche se poco celebrata, nella storia di Internet: è il giorno in cui Gary Thuerk, all’epoca responsabile marketing della Digital Equipment Corporation (DEC), inviò quello che è oggi riconosciuto come il primo esempio di spamming informatico. Il messaggio, spedito a 393 indirizzi email sulla rete ARPANET, aveva l'obiettivo di promuovere i computer DEC e invitare i destinatari a una serie di dimostrazioni di prodotto. Il contesto: ARPANET e la nascita della rete Per comprendere l'importanza di questo evento, bisogna considerare il contesto tecnologico dell’epoca. ARPANET era una rete sperimentale creata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, considerata l’antenata dell’attuale Internet. In quel periodo, la rete era usata quasi esclusivamente da ricercatori universitari, militari e istituzioni governative, e la comunicazione via email era un mezzo ancora nuovo e usato principalmente per scopi accademici o professionali. L’email di Gary Thuerk Gary Thuerk, vedendo nel nuovo mezzo un potenziale canale promozionale, decise di inviare un messaggio a centinaia di utenti per annunciare un evento di presentazione dei nuovi sistemi VAX 11/780 e DECsystem-20. La sua iniziativa fu innovativa sotto il profilo del marketing digitale, ma suscitò immediatamente forti reazioni negative: molti destinatari si lamentarono di aver ricevuto un messaggio non richiesto, intasando i canali della rete e generando un acceso dibattito sull’uso appropriato della posta elettronica. La nascita dello spam Curiosamente, il termine spam, oggi sinonimo di posta elettronica indesiderata, non fu utilizzato in quell’occasione. Il termine entrerà nel linguaggio informatico solo nel 1993, quando gli utenti iniziarono a paragonare l’invasività della posta non desiderata alla famosa scenetta comica dei Monty Python, in cui il menu di un ristorante era dominato da piatti a base di Spam (un tipo di carne in scatola), continuamente ripetuti fino all’esasperazione. Impatto e eredità Nonostante le critiche, Thuerk non si pentì mai del suo gesto. Anzi, affermò che quell’email generò vendite per circa 13 milioni di dollari, dimostrando quanto potesse essere potente il mezzo elettronico per scopi promozionali. Da allora, tuttavia, l’uso incontrollato delle email pubblicitarie è diventato un problema sempre più grave, spingendo alla creazione di filtri anti-spam, normative come il CAN-SPAM Act negli Stati Uniti, e soluzioni tecnologiche per contrastare la diffusione di messaggi indesiderati. Gary Thuerk è passato alla storia come il "padre dello spam", un titolo controverso ma inevitabile. Il suo gesto ha segnato l’inizio di una nuova era della comunicazione digitale, in cui i confini tra innovazione, marketing e invasività sono diventati sempre più sfumati. A distanza di quasi cinquant’anni, quell’email del 1978 resta un simbolo: una prima, clamorosa, lezione sui rischi e le potenzialità del mondo digitale.
Autore: by Antonello Camilotto 24 aprile 2025
A sei anni, sanno già scrivere le prime righe di codice. A dieci, costruiscono robot con sensori e intelligenza artificiale di base. A dodici, partecipano a competizioni nazionali di programmazione. In Cina, il futuro non è domani: è oggi, ed è scritto nel linguaggio dell’algoritmo. Il governo cinese ha scelto una rotta chiara: rendere l’intelligenza artificiale una materia fondante del percorso scolastico fin dalle elementari. Una decisione che riflette un’ambizione precisa: fare della Cina il leader globale dell’IA entro il 2030. E per farlo, serve iniziare dai banchi di scuola. L’IA entra nei programmi scolastici Dal 2018, il Ministero dell’Istruzione cinese ha cominciato a introdurre corsi di IA in centinaia di scuole elementari e medie, in un progetto pilota poi esteso a livello nazionale. Nelle aule, tra lavagne digitali e tablet, gli studenti non solo imparano cos’è un’intelligenza artificiale, ma la mettono in pratica. Si cimentano con il coding, costruiscono piccoli robot, apprendono le basi del deep learning. I libri di testo dedicati all’IA sono già una realtà per milioni di studenti. Le lezioni, spesso condotte da insegnanti formati in collaborazione con aziende tech, mirano a sviluppare il pensiero logico, la creatività e l’abilità di risolvere problemi complessi: competenze chiave per il mondo del lavoro che verrà. L’alleanza tra Stato e big tech Il progetto non è solo scolastico: è sistemico. Colossi come Baidu, Tencent e Alibaba sono partner attivi di questo grande esperimento educativo. Offrono piattaforme, software educativi, kit didattici e organizzano competizioni su scala nazionale. Ogni anno si svolgono centinaia di gare di robotica e coding nelle scuole, dove migliaia di giovani mettono alla prova le proprie abilità in scenari sempre più realistici. Alcuni vincono borse di studio, altri entrano nei radar delle aziende prima ancora di diplomarsi. Educazione o pressione? Il modello, però, non è privo di critiche. Alcuni esperti sottolineano come questa spinta verso l’innovazione tecnologica rischi di aumentare lo stress sui bambini e limitare l’apprendimento umanistico. “Il rischio è che si crei una generazione tecnicamente brillante ma poco abituata al pensiero critico indipendente”, avverte un docente universitario di Pechino. Altri, invece, vedono in questa strategia un esempio da seguire. In Occidente, l’educazione all’IA è ancora frammentaria e spesso relegata a iniziative extracurricolari. In Cina, è parte integrante del piano educativo nazionale. Il futuro in miniatura Guardando questi bambini cinesi mentre programmano e creano, si ha la sensazione che stiano già vivendo in un tempo che altrove è ancora immaginato. Per la Cina, il futuro dell’intelligenza artificiale non è solo una questione economica o geopolitica: è una sfida educativa. E si gioca oggi, tra i banchi di scuola. Una cosa è certa: nella corsa globale all’intelligenza artificiale, Pechino ha messo il turbo. E ha deciso di partire dai più piccoli.
Autore: by Antonello Camilotto 23 aprile 2025
In un periodo in cui la conoscenza sembra essere a portata di click, spesso ci dimentichiamo di chi, dietro le quinte, lavora instancabilmente per costruire, correggere e arricchire le fonti da cui attingiamo quotidianamente. Uno di questi custodi della conoscenza è Steven Pruitt, definito da molti come l’eroe silenzioso di Wikipedia. Chi è Steven Pruitt? Nato nel 1984 a San Antonio, Texas, e cresciuto a Virginia Beach, Steven Pruitt è un archivista americano e soprattutto un prolifico editor di Wikipedia. Conosciuto online con lo pseudonimo Ser Amantio di Nicolao (nome ispirato a un personaggio dell'opera "Gianni Schicchi" di Puccini), Pruitt è stato riconosciuto come l’utente più attivo nella storia dell’enciclopedia libera. Nel corso degli anni, ha effettuato oltre 5 milioni di modifiche e ha creato più di 35.000 voci. Una cifra impressionante, soprattutto se si considera che lo fa volontariamente, mosso unicamente dalla passione per la conoscenza e la condivisione del sapere. Il suo impatto sulla conoscenza globale Il contributo di Pruitt va ben oltre la quantità: la qualità e l’approccio delle sue modifiche rivelano un impegno autentico verso l’accuratezza, l’inclusività e la diffusione di contenuti storici spesso trascurati. È stato un pioniere nel promuovere la rappresentazione femminile su Wikipedia, contribuendo ad aumentare la percentuale di voci dedicate a donne, scienziate, artiste e figure storiche dimenticate.  Una delle sue battaglie personali è proprio quella contro i vuoti sistemici nella conoscenza online: il rischio che alcuni argomenti, culture o persone vengano esclusi semplicemente perché meno documentati. Il suo lavoro è diventato quindi anche un atto di giustizia culturale. Un riconoscimento (quasi) inaspettato Nel 2017, Time Magazine lo ha inserito nella lista delle 25 persone più influenti su Internet, accanto a nomi come J.K. Rowling e Kim Kardashian. Un riconoscimento che ha sorpreso lo stesso Pruitt, abituato a lavorare lontano dai riflettori, con umiltà e discrezione. Nonostante il successo, continua a condurre una vita semplice, lavorando come impiegato presso la US Customs and Border Protection, e modificando Wikipedia durante il tempo libero. Per lui, contribuire all’enciclopedia è un modo per lasciare un’eredità di conoscenza e fare la differenza nel mondo, una modifica alla volta. Un esempio per tutti Steven Pruitt incarna ciò che c’è di più puro nello spirito di Internet: la collaborazione, la condivisione libera del sapere, e la volontà di costruire qualcosa di utile per gli altri. In un'epoca spesso dominata dall’apparenza e dall’autocelebrazione, la sua dedizione silenziosa ci ricorda che anche i gesti più discreti possono avere un impatto enorme. In fondo, ogni volta che consultiamo Wikipedia, c’è una buona probabilità che dietro una voce ci sia passato lui. E forse, senza nemmeno saperlo, gli dobbiamo molto più di quanto immaginiamo.
Autore: by Antonello Camilotto 23 aprile 2025
Margaret Heafield Hamilton (nata il 17 agosto 1936 a Paoli, Indiana) è una pioniera dell’informatica, celebre per aver diretto lo sviluppo del software di bordo delle missioni Apollo della NASA. La sua visione, il rigore scientifico e l’invenzione del concetto moderno di "ingegneria del software" hanno avuto un impatto cruciale sulla riuscita dello sbarco lunare del 1969.  Gli Inizi: dal MIT alla NASA Hamilton si laurea in matematica al Earlham College nel 1958. In un periodo in cui pochissime donne lavoravano nella tecnologia, lei comincia a lavorare al MIT (Massachusetts Institute of Technology), inizialmente su progetti meteorologici per il Dipartimento della Difesa. Nel 1961 entra a far parte del Lincoln Laboratory del MIT, dove sviluppa software per rilevare aerei nemici nel contesto della Guerra Fredda. Ma il suo vero salto arriva quando viene coinvolta nel progetto Apollo: il MIT era stato incaricato di costruire il software per il computer di bordo dell'Apollo Guidance Computer (AGC), e Hamilton ne diventa la responsabile. Il Software che ha Salvato la Missione Apollo 11 Durante la missione Apollo 11, pochi minuti prima dell’allunaggio, il sistema di bordo cominciò a segnalare errori (famosi "errori 1202 e 1201"). In quel momento cruciale, il software progettato dal team di Hamilton si dimostrò all’altezza: il sistema era stato programmato per gestire le priorità, e scartò in automatico i compiti non essenziali per concentrarsi sull’allunaggio, permettendo a Neil Armstrong e Buzz Aldrin di completare la missione con successo. Questa decisione del software di non collassare ma di ricalibrarsi in tempo reale è oggi considerata uno dei primi esempi di sistemi resilienti e a tolleranza di errore. Hamilton aveva insistito sull’importanza di questi meccanismi, spesso in controtendenza rispetto alle priorità degli ingegneri hardware. Conio del Termine "Ingegneria del Software" Hamilton è anche accreditata per aver coniato l’espressione "software engineering", un termine oggi standard, ma che all’epoca veniva guardato con scetticismo. Il suo uso del termine voleva sottolineare l’importanza del software come disciplina ingegneristica a tutti gli effetti, dotata di rigore, metodologia e responsabilità critica, soprattutto in ambiti dove un errore poteva costare vite umane. Dopo l’Apollo: Hamilton Technologies Nel 1986 fonda Hamilton Technologies, Inc., un’azienda focalizzata sullo sviluppo di sistemi software altamente affidabili. Qui introduce il concetto di Universal Systems Language (USL) e la metodologia Development Before the Fact, mirata a prevenire errori prima ancora che possano essere introdotti nel codice. Riconoscimenti Margaret Hamilton ha ricevuto numerosi premi per il suo contributo alla scienza e alla tecnologia: Presidential Medal of Freedom nel 2016, conferita da Barack Obama Computer History Museum Fellow Award Citata in numerose opere e mostre sull’esplorazione spaziale Una delle immagini più celebri di Hamilton la ritrae accanto a una pila di libri: sono le stampe del codice del software Apollo, alte quanto lei. Un’immagine iconica che simboleggia quanto fosse fondamentale il software in quella che fu una delle imprese più straordinarie dell’umanità. Margaret Hamilton è oggi riconosciuta come una delle menti più brillanti nella storia della tecnologia. Ha aperto la strada a milioni di donne nella scienza e nella tecnologia, dimostrando con i fatti che il software è scienza, ed è anche arte, responsabilità e visione.
Autore: by Antonello Camilotto 23 aprile 2025
La navigazione in incognito, o "modalità privata", è una funzione disponibile in quasi tutti i browser moderni, da Google Chrome a Firefox, Safari e Microsoft Edge. Viene spesso percepita come uno scudo contro la sorveglianza digitale, ma è importante capire esattamente cosa fa e, soprattutto, cosa non fa questa modalità. A cosa serve la modalità in incognito? Non salva la cronologia Quando navighi in incognito, il browser non memorizza le pagine visitate nella cronologia. Questo è utile se stai cercando un regalo a sorpresa, facendo ricerche personali o usando un computer condiviso. Non salva cookie e dati di sessione I cookie (che ricordano preferenze e login) vengono eliminati al termine della sessione. Quindi, se accedi a un sito, chiudi la finestra e riapri, dovrai accedere di nuovo. Non memorizza moduli o ricerche Tutto ciò che scrivi nei campi di ricerca o nei form non verrà salvato nella memoria del browser. Permette login multipli Puoi accedere a più account dello stesso sito in parallelo (es. due Gmail aperti contemporaneamente: uno in incognito, uno in finestra normale). A cosa non serve la modalità in incognito? Non nasconde la tua attività al tuo provider internet o alla rete Wi-Fi Il tuo ISP (provider) può comunque vedere quali siti visiti, così come può farlo chi gestisce la rete (es. scuola, ufficio, hotel). Non ti rende anonimo su internet I siti che visiti possono comunque raccogliere informazioni su di te (come l’indirizzo IP) e monitorare la tua attività, soprattutto se effettui il login. Non blocca tracker, pubblicità o fingerprinting Anche se i cookie vengono cancellati, molti siti usano tecniche avanzate per tracciarti, come il browser fingerprinting (identificare il tuo dispositivo in base alle sue caratteristiche uniche). Non protegge da malware o phishing La modalità in incognito non offre nessuna protezione extra contro siti malevoli, virus, o attacchi informatici. Quindi ... è inutile? Assolutamente no. La navigazione in incognito è utile per mantenere una certa privacy locale, cioè sul dispositivo che stai usando. È una funzione comoda per: Evitare di salvare cronologia e ricerche Accedere temporaneamente ad account Navigare su computer pubblici o condivisi senza lasciare tracce Ma non è una modalità anonima. Se cerchi anonimato reale o protezione della privacy a livello di rete, dovresti usare strumenti più avanzati, come VPN, Tor o browser focalizzati sulla privacy (es. Brave, Firefox con estensioni mirate). Navigare in incognito è come scrivere con l'inchiostro simpatico: nessuno lo legge subito, ma lascia comunque tracce che altri strumenti possono vedere. Usala consapevolmente, ma non pensare che basti per diventare invisibile online.
Autore: by Antonello Camilotto 23 aprile 2025
Il 23 aprile 2005, un giovane di nome Jawed Karim — uno dei tre fondatori di YouTube — caricava un breve video di 18 secondi intitolato “Me at the zoo”. Nella clip, Karim si trova davanti all’area degli elefanti allo zoo di San Diego e, con tono casuale, osserva quanto siano “interessanti” gli animali, soprattutto per le loro “veramente, veramente, veramente lunghe proboscidi”. Quel momento, apparentemente banale, ha segnato l’inizio di una rivoluzione culturale e mediatica. Oggi, nel 2025, quel video compie 20 anni.  Un gesto semplice, un impatto immenso All’epoca, YouTube era ancora un’idea in fase embrionale, concepita come piattaforma per condividere facilmente video online — un’operazione che, fino a quel momento, era complicata, lenta e limitata a pochi utenti esperti. Nessuno, nemmeno i suoi fondatori, avrebbe potuto prevedere quanto YouTube avrebbe trasformato la comunicazione globale, l’informazione, l’intrattenimento e perfino la politica. Con oltre 3 miliardi di utenti attivi al mese nel 2025, YouTube è oggi uno dei siti più visitati al mondo, disponibile in oltre 100 Paesi e tradotto in più di 80 lingue. Ma tutto è iniziato con quella clip tremolante di un ragazzo e degli elefanti. Dall’amatoriale al professionale In 20 anni, YouTube è passato dall’essere un rifugio per contenuti amatoriali a una piattaforma sofisticata che ospita produzioni di alta qualità, programmi originali, documentari, film, concerti, corsi universitari, podcast e dirette streaming. Ha lanciato la carriera di milioni di creatori di contenuti — gli “YouTuber” — diventati a loro volta veri e propri brand, con milioni di follower e contratti milionari. La piattaforma ha anche influenzato profondamente il giornalismo partecipativo, permettendo a chiunque di documentare eventi in tempo reale, dando voce a proteste, denunce e movimenti globali. Un’eredità culturale Il video “Me at the zoo” è oggi un pezzo da museo digitale. Non solo è ancora visibile sul canale originale di Jawed, ma è stato studiato da storici, sociologi e studiosi dei media come punto di partenza per l’evoluzione della cultura online. È diventato simbolo di un’era in cui chiunque può diventare creatore di contenuti, in cui la democratizzazione della comunicazione è diventata una realtà. Uno sguardo al futuro Mentre celebriamo questo anniversario, vale la pena chiedersi: quale sarà il prossimo passo per YouTube? Tra intelligenza artificiale, realtà aumentata, contenuti immersivi e nuove forme di monetizzazione, la piattaforma è destinata a evolversi ancora. Ma una cosa è certa: tutto è cominciato con un video di 18 secondi, un ragazzo con una felpa e degli elefanti. E per quanto il mondo cambi, “Me at the zoo” resterà per sempre il primo capitolo di una delle storie digitali più significative del nostro tempo.
Mostra Altri