Instagram: gli hashtag bannati nel 2022

by antonellocamilotto.com

Cosa comporta l’utilizzo di hashtag vietati e perché Instagram attua questa limitazione


Quando un hashtag viene utilizzato in maniera impropria da un certo numero di profili, nel cervellone di Instagram scatta un campanello d’allarme e tra le azioni che potrebbe intraprendere la piattaforma c’è anche quella di mettere al bando determinati collegamenti ipertestuali.


L’uso di hashtag bannati può avere conseguenze catastrofiche per il tuo profilo; in questo articolo ti spiegherò come riconoscerli, perché Instagram adotta questo provvedimento e in che modo dovresti usare questi strumenti per ottimizzare le performance del tuo profilo.

 

Come scoprire se un hashtag è bannato


Poiché questo strumento è molto utile per targetizzare i contenuti e generare engagement, molti profili cercano di sfruttarlo il più possibile, spesso ricorrendo a metodi non proprio graditi alla piattaforma. Nel caso non l’avessi ancora capito, mi riferisco ai bot, ovvero quei sistemi automatizzati esterni a Instagram che riempiono di spam i feed e le sezioni hashtag ed esplora.


Instagram non vede di buon occhio le intrusioni, specie se interferiscono con il funzionamento del suo algoritmo. Ecco perché il team della piattaforma di proprietà di Meta provvede periodicamente a setacciare gli hashtag nel tentativo di bloccare quelli sospetti. Dal momento che l’utilizzo di un hashtag bannato comporta l’oscuramento del contenuto o limitazioni del profilo, è importante essere in grado di riconoscere quelli non graditi da Instagram.


Si tratta di una procedura piuttosto semplice: prima di creare un contenuto, effettua una ricerca degli hashtag che vorresti inserire. Per farlo non devi fare altro che cliccare sull’icona a forma di lente nella dashboard della app e digitare nella barra di ricerca in alto il tag desiderato. A questo punto seleziona la scheda hashtag e verifica che il collegamento che cerchi compaia tra i risultati. Instagram ti mostra l’hashtag che hai in mente di inserire? Nessun problema.


Se però non lo fa significa che è stato bannato; pertanto, a prescindere dal fatto che si tratti di un ban definitivo o temporaneo, evita di utilizzare quell’hashtag perché questa decisione comporterà l’oscuramento del tuo post o della tua storia. E questo accade non solo nella sezione hashtag relativa a quel tag specifico, ma anche nelle sezioni degli altri hashtag presenti nel contenuto e nella sezione Esplora.

 

Quali sono gli hashtag bannati nel 2022


Poiché Instagram banna molti hashtag in via provvisoria, magari per un giorno o una settimana, è davvero difficile avere accesso a una lista sempre aggiornata di quelli inutilizzabili. Una cosa è certa: non sarà mai la piattaforma a comunicarli. L’obiettivo del ban, infatti, è tagliare fuori i bot poiché la loro attività peggiora l’esperienza utente e va contro l’interesse di Instagram, ovvero creare engagement e far sì che gli utenti trascorrano molto tempo al suo interno, cosa che non accadrebbe se il social venisse invaso da contenuti fuorvianti e pubblicità indesiderate.


Gli Instagrammer più attenti, però, a furia di pubblicare contenuti e fare ricerche sugli hashtag sanno bene quali risultano bannati in pianta stabile. Ecco perché è possibile pubblicare una lista di quelli che faresti bene a non usare mai nei tuoi post.


Qui sotto troverai un breve elenco (rigorosamente in ordine alfabetico) dei principali hashtag che nel 2022 presenziano stabilmente nella lista nera di Instagram:


  • A: #abcess #abdl #addmysc #adultlife #adulting #alone #always #americangirl #attractive #assday #ass #assworship #africanexpeditions #allbreasts #asiangirl;
  • B: #beautyblogger #beautydirectory #besties #brain #babe #bbc #bikinibody #books #beyonce;
  • C: #costumes #cpr #curvy #curvygirls;
  • D: #date #dating #desk #direct #dm;
  • E: #easter #eggplant #elevator;
  • F: #fishnets #fitnessgirls #followforfollow;
  • G: #girlsonly #gloves #goddess;
  • H: #hardworkpaysoff #happythanksgiving #hotweather #humpday #hustler;
  • I: #ig #ilovemyinstagram #instasport #instamood #instababy #iphonegraphy #italiano;
  • K #kansas #kickoff #killingit #kissing;
  • L #l4l #leaves #lingerie #like #likeback #likeforlike #livinforalivin #loseweight;
  • M #master #milf #mileycyrus #mirrorphoto #models #mustfollow;
  • N #nasty #newyearsday;
  • O #overnight #orderweedonline #outdoorbirth;
  • P #parties #petite #popular #pornfood #prettygirl #pushups #publicrelations;
  • Q #qatar #quadveins;
  • R #rate #ravens;
  • S #samelove #selfharm #skateboarding #skype #snap #snapchat #single #singlelife #stranger #saltwater #shower #shit #sallyhansen #sopretty #sunbathing #streetphoto #stud #swole #snowstorm;
  • T #tanlines #teens #tgif #todayimwearing #treasurethesemoments #teen #thought #tag4like #tagsforlikes;
  • U #undies;
  • V #valentinesday;
  • W #woman #womancrushwednesday #women #workflow #wtf;
  • X #xanax #xxx #xenociteclad;
  • Y #yochale #youngmodel.

 

Quali hashtag usare su Instagram nel 2022


Se un hashtag che avevi in mente di utilizzare per i tuoi post è presente nella lista, ovviamente non dovrai disturbarti per fare una ricerca. È probabile, però, che nel momento in cui sceglierai gli hashtag liberi da ban da inserire nei tuoi contenuti opterai per quelli più popolari. Ora, io capisco che la tentazione di usare i tag che vanno per la maggiore possa essere forte, ma poiché il mio obiettivo è aiutarti a usare Instagram nel migliore dei modi mi permetto di darti un consiglio: limitati a usarne giusto qualcuno. Non intasare il tuo post o la tua storia di Hashtag con milioni di follower.


Contrariamente a quanto potresti pensare, infatti, operare in questo modo non ti farà avere più visualizzazioni. E sai perché? Entrerai in competizione con un numero spropositato di contenuti. Dunque, a meno che tu non sia la Nike, la Ferrero o la Samsung, è difficile che questi hashtag ti regalino reach. Certo, la quantità di persone che li seguono ingolosisce, ma per crescere su questo social devi avere pazienza e lavorare sodo. Pertanto ti suggerisco di inserire due o tre hashtag popolari e riservare lo spazio rimanente a tag meno generici (dunque con meno follower) ma più di nicchia. In questo modo potrai giocarti le tue carte in uno spazio in cui c’è meno competizione e in cui un contenuto accattivante, interessante e utile avrà maggiori probabilità di essere visto.


In conclusione


La gestione di un profilo aziendale Instagram, e in generale di tutti i social network, richiede molta attenzione poiché basta inserire accidentalmente un hashtag vietato per mandare a monte una strategia di marketing. Al di là di tutto, però, oltre a rimanere vigili su certi aspetti, per gestire al meglio i propri profili social occorrono pianificazione, definizione degli obiettivi e regolarità nelle pubblicazioni.


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Autore: by Antonello Camilotto 26 settembre 2025
Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale generativa ha conosciuto una crescita esponenziale, producendo testi, immagini, video e musica con una rapidità e una facilità mai viste prima. Ma a fianco dei progressi tecnologici è emerso un problema crescente: l’AI slop, termine con cui si indica la proliferazione di contenuti di bassa qualità generati dalle macchine, che rischiano di inquinare il web e l’ecosistema culturale. Cos'è l'IA slop? Il termine "slop" in inglese significa letteralmente "pappone", "avanzi" o "scarti". Applicato all’intelligenza artificiale, descrive testi ripetitivi, immagini stereotipate, video senza coerenza o articoli pieni di inesattezze. Si tratta di materiali che: non hanno un vero valore informativo o creativo, spesso sono riciclati da altre fonti senza originalità, vengono prodotti in massa per saturare siti, social e piattaforme editoriali. Il risultato è una grande quantità di contenuti che assomigliano a ciò che una persona reale potrebbe creare, ma che mancano di profondità, accuratezza e autenticità. La causa principale L’AI slop nasce da diversi fattori: Facilità d’uso degli strumenti: chiunque oggi può generare centinaia di testi o immagini con pochi clic. Motivazioni economiche: molti siti sfruttano i modelli generativi per pubblicare articoli in massa, guadagnando da pubblicità e SEO. Mancanza di controlli: spesso non c’è un filtro umano a verificare qualità, correttezza e originalità. Addestramento sui dati già “sporcati”: se i modelli vengono alimentati con dataset pieni di AI slop, il problema si amplifica in una spirale. I rischi per il web e la società La diffusione di contenuti-spazzatura può avere impatti significativi: Disinformazione: testi superficiali o scorretti possono contribuire a diffondere notizie false. Erosione della fiducia: se gli utenti non distinguono più tra materiale umano e generato, la credibilità delle fonti cala. Inquinamento culturale: l’omologazione dei contenuti rischia di ridurre la varietà creativa e la qualità del dibattito pubblico. Saturazione delle ricerche online: l’abbondanza di articoli generati per SEO può rendere difficile trovare informazioni autentiche e approfondite. Possibili soluzioni Contrastare l’AI slop non significa fermare l’innovazione, ma sviluppare pratiche più responsabili: Verifica umana: integrare l’AI come supporto e non come sostituto totale della produzione di contenuti. Etichettatura trasparente: indicare chiaramente quando un contenuto è generato da macchine. Filtri e regolamentazioni: piattaforme e motori di ricerca possono limitare la visibilità dei contenuti-spazzatura. Educazione digitale: insegnare a utenti e creatori a distinguere la qualità dall’automatismo sterile. L’AI slop è un campanello d’allarme in un’epoca in cui l’abbondanza di contenuti rischia di sostituire la qualità. L’intelligenza artificiale può essere un potente alleato della creatività e della conoscenza, ma solo se usata con responsabilità, trasparenza e spirito critico. La sfida del futuro sarà distinguere il valore autentico dal rumore di fondo, preservando l’integrità dell’informazione e della cultura.
Autore: by Antonello Camilotto 23 settembre 2025
Le “catene di Sant’Antonio” non sono certo una novità dei Social Network. Si tratta di un fenomeno molto più antico, che ha saputo adattarsi ai mezzi di comunicazione di massa delle diverse epoche. Dai fogli manoscritti alle lettere cartacee, dalle e-mail agli odierni post su Facebook, Instagram, WhatsApp e TikTok, il meccanismo resta sempre lo stesso: un messaggio che si diffonde grazie alla promessa di fortuna, all’avvertimento di una sventura o al semplice invito a “non spezzare la catena”. Le origini storiche Le prime tracce delle catene di Sant’Antonio risalgono al XIX secolo. Erano spesso lettere cartacee che contenevano preghiere o invocazioni, accompagnate dall’obbligo morale di copiarle e spedirle a un certo numero di persone. Il nome richiama Sant’Antonio da Padova, figura popolare e venerata, anche se in realtà non esistono collegamenti diretti con il santo: l’associazione è nata più per l’aura di sacralità e protezione legata al suo culto che per un fondamento storico. L’evoluzione digitale Con l’arrivo di Internet negli anni ’90, queste catene si sono trasformate in e-mail virali. I messaggi minacciavano di portare sfortuna a chi non li inoltrava o promettevano miracoli a chi li diffondeva. In alcuni casi venivano usati per truffe o spam, sfruttando la credulità e il timore psicologico delle persone. Oggi i Social Network hanno amplificato il fenomeno. Su WhatsApp circolano messaggi che spingono a inoltrare contenuti “per proteggere la famiglia” o per partecipare a raccolte di solidarietà, spesso false. Su Facebook e Instagram proliferano post che chiedono di “condividere entro 24 ore” per non perdere fortuna o per dimostrare sostegno a una causa. Su TikTok, invece, assumono forme più leggere, come sfide o trend che invitano a partecipare e taggare gli amici. Perché funzionano ancora? ๏ปฟ Nonostante la maggiore consapevolezza digitale, queste catene continuano a diffondersi per vari motivi: Emotività: fanno leva sulla paura, sulla speranza o sul senso di appartenenza. Semplicità: richiedono un gesto rapido, come un clic o un inoltro. Illusione di controllo: l’idea di poter evitare un pericolo o ottenere un beneficio con un’azione minima. Algoritmi social: i contenuti più condivisi vengono spinti automaticamente, aumentando la viralità. Le catene di Sant’Antonio sono la prova che, indipendentemente dai mezzi tecnologici, certe dinamiche psicologiche restano immutate. Se un tempo erano lettere manoscritte, oggi viaggiano alla velocità di una notifica. Il consiglio, però, rimane lo stesso: prima di inoltrare o condividere, è sempre meglio fermarsi a riflettere sulla veridicità e sull’utilità del contenuto.
Autore: by Antonello Camilotto 16 settembre 2025
Lawrence Joseph “Larry” Ellison, nato a New York nel 1944, è una delle figure più influenti nella storia dell’informatica e dell’imprenditoria tecnologica. Fondatore e leader di Oracle Corporation, Ellison ha trasformato il modo in cui le aziende gestiscono i dati, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo dei moderni sistemi di database e dell’infrastruttura IT globale. Gli inizi Ellison crebbe a Chicago, adottato da parenti della madre. Non completò mai gli studi universitari, ma sviluppò una passione per l’informatica che lo portò in California, nel cuore della Silicon Valley nascente. Negli anni Settanta iniziò a lavorare su progetti di database per il governo americano, ispirandosi alle ricerche di Edgar F. Codd sull’organizzazione relazionale dei dati. La nascita di Oracle Nel 1977, insieme a Bob Miner e Ed Oates, fondò Software Development Laboratories, che nel 1982 cambiò nome in Oracle Systems Corporation, dal nome del loro principale prodotto: un database relazionale destinato a rivoluzionare la gestione delle informazioni. L’intuizione vincente di Ellison fu anticipare il mercato, proponendo soluzioni avanzate quando la maggior parte delle aziende non ne percepiva ancora la necessità. Oracle crebbe rapidamente, imponendosi come punto di riferimento per sistemi database ad alte prestazioni. Stile di leadership e visione Ellison è noto per la sua personalità carismatica, competitiva e talvolta controversa. Ha costruito Oracle attraverso acquisizioni strategiche, tra cui PeopleSoft, Siebel, BEA Systems e soprattutto Sun Microsystems, che portò in casa Java e il sistema operativo Solaris. Sotto la sua guida, Oracle è passata da software house a colosso del cloud computing, affrontando rivali come Microsoft, Amazon e Google. La vita oltre Oracle Oltre alla carriera imprenditoriale, Ellison è famoso per il suo stile di vita lussuoso: possiede yacht spettacolari, collezioni d’arte, proprietà immobiliari e perfino l’isola hawaiana di Lanai, che intende trasformare in un modello di sostenibilità. È anche un appassionato velista e ha sponsorizzato più volte la America’s Cup con il team Oracle. L’eredità Larry Ellison è oggi una delle persone più ricche del mondo e continua a influenzare il settore tecnologico. La sua storia incarna il mito della Silicon Valley: da giovane senza laurea a imprenditore miliardario, spinto da una visione chiara e dall’ambizione di cambiare il futuro dell’informatica.
Autore: by Antonello Camilotto 13 settembre 2025
Quando si parla di trasparenza digitale e di libertà d’informazione sul web, un nome spicca tra i pionieri: John Young (1935-2025), architetto newyorkese e attivista, noto soprattutto come fondatore di Cryptome, uno dei primi archivi online dedicati alla diffusione di documenti riservati, tecnici e governativi. La sua figura è spesso descritta come quella di un precursore di ciò che oggi conosciamo come “whistleblowing digitale”. Le origini di Cryptome Cryptome nasce nel 1996, in un’epoca in cui internet stava ancora definendo i propri confini. L’obiettivo del sito era chiaro: rendere pubbliche informazioni ritenute di interesse collettivo, spesso celate dietro il velo della segretezza governativa o aziendale. Da manuali su tecniche di sorveglianza a documenti sulle agenzie di intelligence, Cryptome si impose rapidamente come una piattaforma di rottura, in netto contrasto con le logiche di controllo e censura. Una filosofia radicale di trasparenza A differenza di altre realtà simili, John Young non ha mai cercato di trarre profitto dal progetto né di costruire un’organizzazione strutturata. La sua era – ed è – una missione personale, guidata da una convinzione semplice ma radicale: la conoscenza appartiene a tutti, senza eccezioni. Cryptome non operava filtri etici o giornalistici come invece avrebbero fatto in seguito piattaforme come WikiLeaks. Tutto ciò che poteva contribuire a scardinare il potere dell’opacità veniva pubblicato, senza compromessi. Il rapporto con WikiLeaks e Julian Assange Con la nascita di WikiLeaks, nel 2006, molti individuarono in Cryptome il suo diretto predecessore. Lo stesso Julian Assange collaborò inizialmente con John Young, che però si distaccò dal progetto criticandone la centralizzazione e l’approccio sempre più mediatico. Young vedeva in WikiLeaks un rischio di personalizzazione eccessiva, laddove Cryptome era rimasto volutamente spoglio, privo di protagonismi e gestito con rigore minimalista. Critiche e controversie La radicalità di Young ha spesso generato controversie. Pubblicare documenti sensibili, senza selezione né mediazione, ha attirato accuse di irresponsabilità e persino di mettere in pericolo vite umane. Eppure, la sua visione rimane coerente: la segretezza, secondo lui, è un’arma del potere che serve a sottrarre ai cittadini il diritto di conoscere. Un’eredità duratura Oggi, in un’epoca segnata da whistleblower come Edward Snowden e da battaglie globali per la protezione dei dati, la figura di John Young appare quasi profetica. Cryptome continua a esistere, pur restando una nicchia rispetto ai colossi dell’informazione digitale, ma la sua influenza è innegabile. È stato tra i primi a dimostrare che internet poteva diventare un archivio permanente della verità scomoda, capace di sfidare governi e multinazionali. John Young non è stato un personaggio mediatico, né un leader carismatico, ma piuttosto un uomo che ha fatto della coerenza la propria arma, costruendo un luogo digitale dove la trasparenza assoluta diventa strumento di libertà. Se oggi discutiamo di open data, di whistleblowing e di diritto all’informazione, è anche grazie al seme piantato da Cryptome più di venticinque anni fa.
Autore: by Antonello Camilotto 13 settembre 2025
Le scuole italiane affrontano una delle sfide più urgenti e decisive del nostro tempo: l’integrazione efficace delle tecnologie digitali nel sistema educativo. Dopo anni di investimenti frammentati, sperimentazioni isolate e progetti pilota, esperti, docenti e studenti concordano su un punto: serve una riforma strutturale, profonda e duratura. Il mondo cambia velocemente, trascinato dalla rivoluzione digitale, ma l’istruzione in Italia rischia di restare indietro. Se da un lato la pandemia ha accelerato l’adozione di strumenti digitali — basti pensare alla didattica a distanza — dall’altro ha evidenziato le profonde disuguaglianze tra scuole del nord e del sud, tra centri urbani e zone periferiche, tra istituti ben attrezzati e altri ancora legati a una didattica analogica. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione, meno del 30% delle scuole italiane dispone di infrastrutture digitali adeguate, con connessioni veloci, dispositivi aggiornati e personale formato. Il Piano Scuola 4.0, inserito nel PNRR, ha promesso investimenti per trasformare 100.000 aule tradizionali in ambienti di apprendimento innovativi, ma la realizzazione procede a rilento, rallentata da burocrazia, carenza di competenze gestionali e assenza di una visione strategica condivisa. Il nodo della formazione dei docenti Una delle criticità principali è la formazione del personale scolastico. “Non basta dotare le scuole di tablet o lavagne digitali se gli insegnanti non sono messi in condizione di usarli in modo efficace e critico,” spiega la professoressa Marta Bellini, dirigente scolastica in provincia di Milano. “Serve una cultura digitale condivisa, non solo una competenza tecnica.” Al momento, la formazione digitale è ancora facoltativa o affidata alla buona volontà delle singole scuole. Occorre un piano nazionale obbligatorio, continuo e integrato, che accompagni gli insegnanti nella transizione, valorizzando anche le esperienze già in corso. Gli studenti chiedono di più Anche le nuove generazioni, paradossalmente, non sono del tutto digitali. Usano dispositivi e app, ma raramente sviluppano un pensiero critico o una reale alfabetizzazione digitale. “Ci insegnano a usare Word o PowerPoint, ma nessuno ci spiega cosa sia un algoritmo, come funziona l’intelligenza artificiale o quali rischi comporta il cyberbullismo,” racconta Luca, 17 anni, studente a Roma. Una riforma digitale deve quindi partire dai curricula: servono nuove materie, nuovi approcci interdisciplinari e una maggiore attenzione all’etica digitale, alla sicurezza online e alla cittadinanza digitale. Un’occasione da non perdere Il 2026, data di scadenza del PNRR, rappresenta un bivio: o si avvia un cambiamento radicale o si perde un’occasione storica. Non bastano proclami o fondi spot. Serve un’azione coordinata tra ministeri, enti locali, scuole, università e imprese. Una riforma che non si limiti alla tecnologia, ma che ripensi il modello educativo nel suo complesso. L’Italia ha le competenze, le risorse e le intelligenze per guidare questo cambiamento. Quello che manca, ancora, è la volontà politica di trasformare le promesse in realtà. Il futuro della scuola passa dal digitale. Ma il tempo per agire è adesso!
Autore: by Antonello Camilotto 11 settembre 2025
Il futuro del digitale non è più soltanto sulla Terra. Con il progetto Lunar Vault, il primo datacenter lunare, l’umanità compie un passo che fino a pochi anni fa apparteneva solo alla fantascienza. Un’infrastruttura tecnologica costruita direttamente sul nostro satellite naturale, capace di custodire e gestire dati in un ambiente estremo e affascinante. Perché portare i dati sulla Luna? Dietro questa impresa c’è un’idea semplice ma visionaria: liberare la Terra da parte del peso energetico e ambientale dei datacenter tradizionali. Lunar Vault sfrutta i poli lunari, dove la luce del Sole è presente quasi tutto l’anno, garantendo un flusso costante di energia solare. Inoltre, il vuoto spaziale e le basse temperature offrono condizioni naturali che possono essere utilizzate per il raffreddamento dei server. Un altro aspetto non trascurabile è la sicurezza: un datacenter sulla Luna è praticamente al riparo da disastri naturali, attacchi fisici o sabotaggi, diventando un luogo ideale per ospitare i dati più sensibili del pianeta. Le sfide di Lunar Vault La realizzazione del progetto non è stata priva di ostacoli. I tecnici hanno dovuto affrontare il problema delle radiazioni cosmiche, che minacciano i componenti elettronici, e sviluppare sistemi robotici autonomi capaci di costruire la struttura senza la presenza costante di astronauti. Anche le comunicazioni richiedono tecnologie avanzate: la trasmissione dei dati avviene tramite collegamenti laser ad altissima velocità, con un ritardo minimo di circa 1,3 secondi tra Terra e Luna. Un simbolo di progresso e potere Lunar Vault non è solo un’infrastruttura tecnologica: è anche un simbolo geopolitico. Avere il controllo di un datacenter nello spazio significa conquistare un vantaggio strategico, aprendo la strada a un’economia digitale interplanetaria. Allo stesso tempo, sarà una risorsa per la ricerca scientifica, offrendo supporto immediato alle missioni spaziali e alla gestione dei dati provenienti da esperimenti lunari e futuri viaggi verso Marte. Un nuovo orizzonte Con Lunar Vault si apre una nuova pagina della storia digitale. La Luna diventa non solo un luogo da esplorare, ma anche un nodo vitale per le reti del futuro. Oggi custodire i dati tra le stelle può sembrare un’idea visionaria, ma domani potrebbe diventare la normalità. Il cielo non è più il limite: ora i nostri file viaggiano oltre l’atmosfera, trovando rifugio in una cassaforte di dati sospesa nello spazio. Vuoi che ti proponga anche una versione più breve, da quotidiano online, con un taglio da notizia flash?
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