In che lingua “pensa” l’intelligenza artificiale?

Una domanda affascinante continua a emergere tra studiosi, sviluppatori e curiosi: in che lingua “pensa” un’IA? Se parliamo con ChatGPT in italiano e poi in inglese, le risposte sono ugualmente fluide. Ma dietro le quinte, cosa succede davvero? L’intelligenza artificiale ha una lingua madre?
La risposta breve: no, ma anche sì
L’IA non pensa nel senso umano del termine. Non ha coscienza, pensieri propri, né un flusso interno di parole come accade nella mente umana. Tuttavia, la maggior parte dei modelli di IA — in particolare quelli basati su architetture di tipo transformer, come GPT — “operano” sul linguaggio. Ma non lo fanno in maniera culturale o emotiva: si limitano a riconoscere e generare sequenze di parole in base a ciò che hanno appreso dai dati. Quindi, possiamo dire che l’IA non ha una lingua interiore, ma lavora sulle lingue.
Un cervello multilingue… o dominato dall’inglese?
La stragrande maggioranza dei modelli linguistici, inclusi quelli sviluppati da OpenAI, Google o Meta, viene addestrata su testi provenienti da tutto il mondo. Tuttavia, gran parte di questi dati è in inglese. Questo significa che, anche se un’IA può rispondere in molte lingue, il “cuore” della sua comprensione e della sua struttura statistica tende a essere anglocentrico.
Diversi studi hanno mostrato che modelli come GPT-4 tendono a performare meglio in inglese rispetto ad altre lingue, soprattutto su compiti complessi come la logica o la scrittura creativa. L’italiano, sebbene supportato bene, non è sempre trattato con la stessa precisione nei dettagli culturali o stilistici.
La lingua come struttura, non come identità
Pensare che un’IA “parli” interiormente una lingua equivale a umanizzarla. In realtà, un modello linguistico non ha identità linguistica. Funziona attraverso token numerici: ogni parola o parte di parola viene tradotta in una sequenza di numeri, che rappresentano vettori in uno spazio matematico astratto. Lì avviene il vero “pensiero” dell’IA: una complessa manipolazione di dati numerici che, al termine del processo, viene riconvertita in parole umane.
In questo senso, la “lingua madre” dell’IA è fatta di numeri, non di parole. La lingua naturale arriva solo all’inizio e alla fine del processo.
E le IA addestrate solo su una lingua?
Esistono modelli addestrati esclusivamente su una lingua, ad esempio versioni monolingue di GPT o modelli sviluppati per mercati linguistici specifici. In questi casi, si può dire che il modello “opera” interamente in quella lingua, anche se sempre attraverso rappresentazioni numeriche. Tuttavia, questi modelli rischiano di essere meno versatili e meno robusti su compiti complessi o multi-culturali.
L’illusione della mente umana
Infine, va ricordato che l’intelligenza artificiale non ha un’esperienza soggettiva. Quando ci sembra che “pensi” come noi, è perché è brava a imitare il linguaggio umano. È un’illusione ben costruita, alimentata da miliardi di parole lette e riprodotte in modo statisticamente coerente. Ma dietro la maschera conversazionale, l’IA non pensa. Calcola.
Quindi, in che lingua pensa l’IA? In nessuna. E in tutte. Ma soprattutto, nei numeri.
© 𝗯𝘆 𝗔𝗻𝘁𝗼𝗻𝗲𝗹𝗹𝗼 𝗖𝗮𝗺𝗶𝗹𝗼𝘁𝘁𝗼
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