Dark Web: il mercato nero e i miti da sfatare

I dati rubati alle aziende passano inevitabilmente attraverso il mercato nero del Dark Web, finendo in mano di cyber criminali e truffatori. Ecco il resoconto di un viaggio tra i “punti vendita” illegali della rete underground.


Gli investimenti in cyber security vengono spesso snobbati dalle aziende, il più delle volte per questioni legate a un presunto risparmio. Invece, proteggere il patrimonio informativo ed evitare fughe di notizie a causa di attacchi di social engineering dovrebbero essere tra i principali obbiettivi. Anche perché, in pochi lo sanno, i dati rubati passano inevitabilmente attraverso il mercato nero del Dark Web.


Chi ruba i dati, con ogni probabilità non è chi poi ne fa utilizzo diretto, bensì vengono semplicemente rivenduti nei canali underground della rete.


Cos’è il Dark Web e come si è creato


Il Dark Web porta con sé un’immagine negativa anche se non era così che doveva essere inizialmente perché è stato creato con l’intenzione di garantire l’accesso ad Internet in modo anonimo, ma purtroppo in molti utilizzato queste funzionalità per attività illegali.


Tutto ciò è deludente poiché alcuni esperti classificano questo spazio “oscuro” come il novanta per cento dell’intera rete Internet. Detto in altre parole, tutto quello che non è indicizzato, per lo più indicizzazione a pagamento, rimane sommerso.


Ciò significa che quasi l’intero Web è nascosto ad occhio nudo perché non indicizzato dai big dei motori di ricerca, e a differenza della normale Web (la cosiddetta “Surface Web”), non è possibile accedervi tramite un normale browser come Chrome o Firefox.


Per accedere in forma anonima è necessario un browser apposito, uno speciale portale che collega o reindirizza gli utenti al Dark Web proteggendo l’identità dell’utente, o altri sistemi per reti VPN o sistemi p2p di accesso speciale come vedremo più avanti. Queste ultime sono le Darknet.


È grazie a questo anonimato che il Dark Web è diventato un rifugio per attività illegali, dove le persone possono acquistare malware, droghe, armi o addirittura assoldare un sicario. Visitando il sito privacyaffairs.com si illustra quali sono i prodotti più popolari in vendita nella Dark Web e quanto costano e viene indicato che possiamo trovare carte di credito, documenti contraffatti e informazioni compromesse.


Come funziona il mercato nero del Dark Web


Uno degli elementi più costosi inclusi nel set di dati è il malware premium, che costa circa 5.500 dollari USA per mille installazioni. Dall’altra parte ci sono dettagli per l’accesso agli account PayPal (molte volte non funzionanti grazie all’autenticazione a due fattori), gli accessi Netflix o i dettagli di carte di credito rubate, tutti disponibili per meno di venti euro.


A dire il vero, possiamo estrapolare tre macro categorie del “materiale disponibile” nei siti non indicizzati del Dark Web:


  1. la prima è relativa alla classica truffa in cui le persone pagano per l’acquisto di un determinato bene che mai arriverà nelle proprie mani;
  2. la seconda riguarda il pagamento per l’acquisto di materiale che, alle fotografie esposte sembra perfetto ma una volta giunto a destinazione rivelano, ad esempio nel caso di documenti falsi, che sono stati realizzati con manifattura grottesca ed evidentemente inutilizzabili;
  3. la terza categoria, infine, riguarda la truffa in cui si paga una cifra esagerata per degli articoli che è possibile accaparrarsi anche grazie a tanta fortuna, ma poi arriva a destinazione del materiale di fatto inutilizzabile.


Ovviamente, stiamo parlando sempre di materiale truffaldino, illegale, talvolta rubato, senza garanzia inviato senza la possibilità di recesso ne di restituzione.


Tuttavia, è sorprendente che le guide alle frodi e all’hacking siano alcuni degli articoli più venduti, tutorial con l’obiettivo di insegnare alle persone come tentare di compromettere PayPal o diversi siti Web.


Quando sentiamo la parola Deep Web, ci viene in mente un grande mercato di droghe e armi da fuoco, ma non è solo questo, c’è molto altro. Terbium Labs, una società di protezione dai rischi digitali, ha voluto sfatare questa visione e per l’anno 2021 ha pubblicato un rapporto che suddivide le presunte attività in sei categorie per fornire una visione delle tendenze degli articoli più venduti. Hanno analizzato tre mercati: “The Canadian HeadQuarters”, “Empire Market” e “White House Market”.


Le guide pratiche sulle truffe che includono tutorial su come eseguire attività dannose sono state le più vendute per il cinquanta per cento. Un esempio: “Come aprire un conto fraudolento presso uno specifico istituto finanziario”. La maggior parte ha un prezzo medio di otto euro. I dati personali occupano il sedici per cento e comprendono nomi, numeri di telefono, indirizzi, indirizzi e-mail e codici fiscali, con un prezzo medio di nove euro.


Inoltre, troviamo anche diversi account e credenziali non finanziari, per una percentuale dell’otto per cento, che includono account per servizi come Netflix, Amazon o altri. Altri da società finanziarie, come PayPal, Stripe, Kraken e altri media bancari e di cripto valuta, che raggiungono un’altra fetta di mercato dell’otto per cento.


Infine, strumenti e modelli di frode possono essere trovati per un prezzo medio di cinquanta euro e includono applicazioni false che possono essere utilizzate come trojan per hackerare determinati sistemi, o modelli di siti Web che possono essere utilizzati per imitare pagine legittime esistenti per eseguire attacchi di phishing.


Tra i prodotti più richiesti ci sono le carte di pagamento che possono dar luogo ad addebiti non autorizzati e che solitamente hanno un range di prezzo all’acquisto dai diciotto ai duecento euro, che possono infliggere danni finanziari sostanziali a qualsiasi persona o entità.


Quali sono i principali mercati neri del Dark Web


Uno dei più longevi dei mercati è conosciuto come “Tor Market”, è attivo da marzo 2018 ed è sopravvissuto a diversi rivali più grandi come “Empire”, “Hydra Market” e “Dream Market”. La longevità di Tor Market è sorprendente, dato che risulta essere uno dei più longevi della storia del Dark Web.


Ciò non significa come detto prima che si è in grado di trovare tutto facilmente. La darknet, per esempio, è una porzione crittografata di Internet non indicizzata dai motori di ricerca. Per l’accesso richiede un browser specifico per l’anonimizzazione, in genere un software tipo I2P, Freenet o anche lo stesso Tor.


Molte darknet vendono droghe illegali in modo anonimo, con consegna tramite posta tradizionale o corriere, e assomigliano a siti di e-commerce legali come Amazon.


Un’analisi di oltre cento mercati darknet tra il 2010 e il 2017 ha rilevato che i siti erano attivi per una media di poco più di otto mesi. Degli oltre centodieci mercati della droga attivi dal 2010 al 2019, solo dieci sono rimasti pienamente operativi fino al 2019.


Mentre le vendite totali su tutti i mercati dentro la darknet sono aumentate nel 2020, e di nuovo nel primo trimestre del 2021, i dati per il quarto trimestre del 2021 suggeriscono che le vendite sono diminuite fino al cinquanta per cento.


Ciò rende la performance di Tor Market nello stesso periodo ancora più notevole. I suoi elenchi sono cresciuti da meno di dieci prodotti nei mesi precedenti la chiusura di “Dream Market” all’inizio del 2019 a oltre cento prodotti entro luglio dello stesso anno.


Dopo un periodo stabile in cui c’erano, in media, duecento cinquanta inserzioni nel 2020 e trecento ottanta nel 2021, un altro periodo di crescita si è verificato all’inizio del 2022. Questo ha visto oltre un migliaio di prodotti quotati su Tor Market entro la metà del 2022.


Questa espansione è stata guidata da un costante aumento delle vendite internazionali, che sono cresciute fino a superare le vendite nazionali della Nuova Zelanda all’inizio del 2022. La Nuova Zelanda rimane comunque il più fiorito mercato del Dark Web.


I “punti vendita” illegali del Dark Web


A prima vista, per esempio la Nuova Zelanda può sembrare un luogo improbabile per un crescente mercato internazionale della droga nelle darknet. Il suo isolamento geografico dai grandi mercati della droga europei e statunitensi, la piccola popolazione e l’assenza storica di qualsiasi fornitura sostanziale di cocaina ed eroina dovrebbero scagionarla, eppure questi fattori potrebbero essere esattamente ciò che ha guidato li questa innovazione di mercato emergente.


Le darknet forniscono un accesso anonimo e diretto ai venditori di droga internazionali che vendono MDMA anche conosciuta come Ecstasy, cocaina e oppioidi, tipi di droga non facilmente accessibili nei mercati della droga fisica in Nuova Zelanda. È improbabile che questi venditori internazionali abbiano interesse a rifornire un mercato così piccolo e distante.


Fornendo offerte da dozzine di venditori di droga internazionali e un forum centralizzato per gli acquirenti, Tor Market risolve il vero problema economico dei “mercati sottili” nella scena della droga neozelandese, dove semplicemente non ci sono abbastanza acquirenti per sostenere i venditori per alcuni tipi di droga.


Di solito, acquirenti e venditori avrebbero difficoltà a connettersi e quindi a giustificare il traffico internazionale su larga scala. Le darknet risolvono questo problema offrendo quantità al dettaglio di tipi di droghe tradizionalmente difficili da reperire come la MDMA direttamente a domicilio.


I neozelandesi hanno una storia di soluzioni innovative alla cosiddetta “tirannia della distanza”. Hanno anche un livello relativamente alto di coinvolgimento digitale e massicce abitudini di acquisto online rispetto agli standard internazionali. Forse le darknet offrono un’esperienza di shopping online familiare per questo tipo di mercato.


Da parte loro, gli amministratori di Tor Market affermano (sulla base del manuale di aiuto del proprio sito) di offrire una gamma di innovazioni e funzionalità di design che garantiscono la sicurezza di Tor Market.


Questo tipo di vanto non è raro tra gli operatori delle darknet come strategia di marketing per attirare nuovi fornitori su un sito. E non è chiaro se Tor Market offra davvero funzionalità di sicurezza o infrastrutture di codifica superiori rispetto ad altri siti.

Più credibile è la presunta strategia aziendale di Tor Market di cercare intenzionalmente di mantenere un profilo basso rispetto ai siti internazionali più grandi. In effetti, molti dei venditori su Tor Market nei primi giorni avevano sede in Nuova Zelanda e vendevano solo ad acquirenti locali.


L’aumento degli elenchi internazionali su Tor Market può riflettere problemi più ampi nell’ecosistema delle darknet, inclusa la chiusura di alcuni mercati delle darknet precedentemente dominanti e l’inaffidabilità di molti siti a causa di attacchi Denial of Service (DoS).


Alla fine, il successo di Tor Market potrebbe essere la sua rovina, resta da vedere se può sostenere la sua crescita internazionale e operare con un profilo internazionale più elevato, dato il relativo rischio per loro che si facciano strada le forze dell’ordine internazionali.


Alcuni miti sul Dark Web


C’è un’aura di misticismo intorno al Dark Web, come un Internet separato dove si possono trovare molti segreti malvagi e nascosti. Ma se si ha intenzione di approfondire, la prima cosa che si dovrebbe sapere è che non è un grosso problema navigarci, e si trova poco più di quanto c’è dentro la Surface Web.


La caratteristica principale di questo sottoinsieme di Internet è la privacy teorica che offre, sebbene ciò non impedisca lo smantellamento anche delle pagine illegali che vi si trovano. Per i paesi europei medi, questa rete offre pochi vantaggi oltre alla curiosità e avere un’esperienza di navigazione simile a quella di Internet degli Anni 90.


Tuttavia, la privacy è essenziale nei paesi in cui esiste una grande censura istituzionale e la libertà di espressione è amputata, tanto che anche alcuni media come la BBC sono interessati a metterci le loro informazioni per renderle più accessibili. In questi casi, queste reti possono essere utilizzate per trasmettere liberamente le varie opinioni.


È verissimo che la libertà può avere una doppia valenza e questo servizio viene utilizzato anche per scopi meno nobili, ma ciò non significa che non sia altrettanto importante.


Ma l’idea principale che si deve tenere in considerazione è che si vedranno poche cose che già non si trovano sulla Surface Web o dentro la Deep Web, contando su quest’ultimo con pagine e forum nascosti dai motori di ricerca dove simili contenuti possono essere pubblicati, ma non sono più ospitati sulla Surface Web.


Conclusioni


Tutto è internet, alcune parti sono più accessibili e sponsorizzate che altre, alcune parti invece sono all’interno di sistemi p2p o all’interno di grandi VPN.


Questa mancanza di accessibilità e di visibilità fanno la differenza e rendono alcuni settori della rete più ospitali per la malvivenza.

Non bisogna farsi in alcun modo intimidire, basta tenere conto che la maggior parte dei ransomware e attacchi virus si fa all’interno della Surface Web.


Sempre protetti da un ottimo sistema antivirus, si deve evitare di navigare con privilegi di amministrazione del proprio computer o meglio ancora, usare una macchina virtuale per le navigazioni di determinati settori della rete, senza acquisire nulla di illegale potrebbe bastare per una esperienza senza sorprese in queste zone di Internet.


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Autore: by Antonello Camilotto 11 dicembre 2025
La chiocciola, oggi onnipresente negli indirizzi di posta elettronica, non è affatto un’invenzione moderna né tantomeno un simbolo nato con l’informatica. La sua storia affonda le radici in un passato sorprendente, in cui l’uso del carattere era completamente diverso da quello che conosciamo. Prima di diventare l’elemento distintivo delle email, il simbolo era impiegato in contesti commerciali e contabili. In documenti antichi, soprattutto di area anglosassone, veniva utilizzato come abbreviazione per indicare una tariffa o un prezzo unitario, con il significato di “al costo di”. Questa funzione pratica permetteva ai mercanti di annotare più velocemente quantità e valori nelle proprie registrazioni. Altre tradizioni attribuiscono alla chiocciola un ruolo nelle trascrizioni medievali: alcuni amanuensi europei l’avrebbero utilizzata come variante grafica della preposizione latina “ad”, che esprimeva un moto a luogo o un rapporto tra quantità. La forma arrotondata e avvolgente che conosciamo oggi potrebbe essersi evoluta proprio da tali abbreviazioni, frutto dello stile di scrittura del tempo. Fu solo negli anni Settanta del Novecento che la chiocciola venne scelta dal programmatore Ray Tomlinson come simbolo ideale per distinguere il nome dell’utente dal dominio all’interno del primo sistema di posta elettronica della storia. Un carattere poco utilizzato, privo di significati ambigui e presente nelle tastiere: le ragioni pratiche del suo impiego finirono per trasformarlo nella vera e propria icona del mondo digitale. Oggi la chiocciola è molto più di un semplice segno grafico: rappresenta comunicazione, connessione e presenza online. Eppure, dietro la sua apparente modernità, si nasconde un lungo percorso storico che attraversa mercati, manoscritti e rivoluzioni tecnologiche. ๏ปฟ
Autore: by Antonello Camilotto 11 dicembre 2025
Nel corso degli ultimi anni la Chiesa si è trovata immersa in un contesto profondamente trasformato dalla rivoluzione digitale. Social network, piattaforme di streaming, intelligenza artificiale e nuovi linguaggi comunicativi hanno modificato non solo il modo in cui si diffondono informazioni e opinioni, ma anche le modalità con cui le istituzioni religiose possono dialogare con fedeli e non credenti. Il processo di digitalizzazione, accelerato dalla pandemia, ha costretto molte diocesi ad adottare strumenti fino a poco prima considerati marginali: messe trasmesse in diretta, catechesi via webinar, incontri parrocchiali su piattaforme online. Sebbene inizialmente tutto ciò sia sembrato un ripiego, l’esperienza ha invece mostrato un potenziale inatteso. Il digitale può diventare un ponte, un luogo di incontro che supera distanze geografiche e barriere sociali. Non mancano tuttavia le sfide. La comunicazione online richiede nuovi codici: immediatezza, sintesi, capacità di intercettare dinamiche spesso lontane dal linguaggio tradizionale ecclesiale. La presenza della Chiesa nei social deve dunque confrontarsi con il rischio della superficialità, delle polarizzazioni e della diffusione di informazioni non verificate. In questo contesto, la credibilità diventa un elemento essenziale: un messaggio evangelico tradotto in forme moderne non può prescindere da una testimonianza coerente. Accanto alle difficoltà emergono anche nuove opportunità pastorali. Le piattaforme digitali aprono spazi di ascolto particolarmente preziosi per chi vive ai margini della comunità o fatica ad avvicinarsi alle istituzioni religiose. Gruppi di preghiera online, percorsi formativi multimediali, progetti missionari sui social diventano strumenti capaci di raggiungere pubblici che in passato rimanevano invisibili. La domanda che si pone oggi non è più se la Chiesa debba abitare l’ambiente digitale, ma come farlo in modo responsabile, creativo e fedele alla propria identità. La sfida consiste nel trasformare il web da semplice canale di comunicazione in uno spazio reale di relazione, dialogo e annuncio. Una sfida che, sempre più, rappresenta uno dei fronti decisivi per il futuro della comunità cristiana. ๏ปฟ
Autore: by Antonello Camilotto 11 dicembre 2025
Quando oggi pensiamo alla messaggistica istantanea, ci vengono in mente WhatsApp, Telegram, Messenger o Signal. Ma l’idea di comunicare in tempo reale tramite una rete di computer è molto più antica di quanto si possa immaginare. Prima degli smartphone, prima di Internet, e persino prima dei PC come li conosciamo oggi, qualcuno aveva già inventato la chat istantanea. Era il 1973. E quello strumento si chiamava Talkomatic. Le origini: PLATO e la nascita di un’idea rivoluzionaria Talkomatic nasce all’interno del progetto PLATO (Programmed Logic for Automatic Teaching Operations), un sistema educativo computerizzato sviluppato presso l’Università dell’Illinois. PLATO è ricordato per molte innovazioni pionieristiche: display al plasma, giochi multiplayer, forum, email e, appunto, la chat in tempo reale. Nel 1973 gli sviluppatori Doug Brown e David R. Woolley crearono Talkomatic, una piattaforma di comunicazione dove più utenti potevano entrare in "canali" tematici e digitare messaggi che comparivano sullo schermo degli altri lettera per lettera, in tempo reale. A differenza delle chat moderne, dove il messaggio viene inviato solo quando si preme “Invio”, con Talkomatic gli utenti vedevano ciò che gli altri scrivevano istantaneamente, carattere dopo carattere. Un’esperienza di comunicazione sorprendentemente “dal vivo”, quasi paragonabile a una conversazione vocale. Un successo inatteso In poco tempo Talkomatic divenne una delle funzioni più popolari dell’intero sistema PLATO. Venne usato dagli studenti, dagli insegnanti e persino dai tecnici che lavoravano sui server. Nonostante le limitazioni tecnologiche dell’epoca — computer costosissimi, accesso remoto tramite linee telefoniche lente — il bisogno umano di comunicare in modo immediato trovò spazio in questa innovazione. La lenta scomparsa e la rinascita Con la fine del progetto PLATO e l’arrivo dei nuovi sistemi informatici, Talkomatic scomparve gradualmente. Ma la sua eredità continuò a vivere, influenzando le prime chat IRC, i messenger degli anni ’90 e, più in generale, l’intero concetto di messaggistica istantanea moderna. Nel 2014, uno dei suoi creatori, David R. Woolley, decise di riportarlo in vita online, ricreando una versione accessibile via web basata sul funzionamento originale: stanze di chat pubbliche, messaggi che scorrono lettera per lettera, interfaccia minimalista e un sapore fortemente retro. Perché oggi ha ancora un fascino particolare Oggi Talkomatic sopravvive come una sorta di museo vivente di Internet. È un pezzo di storia interattiva, che permette di fare un salto nel passato e provare cosa significasse comunicare ai primissimi giorni delle reti digitali. Il fascino di Talkomatic risiede proprio nella sua semplicità: nessuna criptazione o sticker animati; nessuna registrazione o profilo; solo utenti che digitano e vedono digitare gli altri. È un’esperienza che, paradossalmente, appare più “umana” di molte forme di comunicazione moderne. Un’eredità che continua Parlare di Talkomatic significa raccontare la nascita di una delle funzioni più utilizzate al mondo: la chat. Oggi decine di miliardi di messaggi vengono scambiati ogni giorno, ma tutto è iniziato da un esperimento universitario, un terminale al plasma e la visione di due programmatori. ๏ปฟ A 52 anni dalla sua creazione, Talkomatic non è solo un cimelio tecnologico: è un promemoria di quanto la necessità di comunicare sia alla base di ogni evoluzione digitale.
Autore: by Antonello Camilotto 11 dicembre 2025
Quando oggi parliamo di chatbot, assistenti virtuali e intelligenze artificiali conversazionali, è facile dimenticare che tutto ebbe inizio negli anni Sessanta, ben prima dell’era dei computer personali e di Internet. In quell’epoca pionieristica nacque ELIZA, considerata il primo chatbot della storia: un software sorprendentemente moderno per il suo tempo, capace di simulare una conversazione con un essere umano. Le origini: Joseph Weizenbaum e il MIT ELIZA fu sviluppata nel 1966 da Joseph Weizenbaum, informatico e ricercatore del MIT. Il suo obiettivo iniziale non era creare un sistema intelligente, bensì dimostrare quanto potesse essere ingannevolmente semplice simulare la comprensione linguistica tramite un insieme di regole. Il programma analizzava il testo inserito dall’utente e cercava determinate parole chiave. In base a queste, sceglieva una risposta costruita secondo schemi predefiniti. Non “capiva” realmente ciò che veniva detto, ma imitava abilmente uno stile conversazionale coerente. Il celebre script: DOCTOR Tra i vari script che Weizenbaum implementò, il più famoso fu DOCTOR, una simulazione di uno psicoterapeuta rogersiano. Questo approccio psicologico, basato sull’ascolto attivo e sulla riformulazione delle frasi del paziente, si prestava perfettamente alla logica del programma. Esempio tipico: Utente: "Sono triste perché litigo spesso con mia madre." ELIZA: "Mi parli di sua madre." La forza di DOCTOR stava proprio nel restituire all’utente le sue parole, ponendole in forma di domanda. Una tecnica semplice, ma capace di creare l’illusione di un dialogo empatico. La reazione delle persone Weizenbaum rimase lui stesso sorpreso dalla reazione che ELIZA suscitò. Molti utenti, pur sapendo che si trattava di un programma, tendevano a instaurare un rapporto emotivo con esso. Alcuni suoi colleghi arrivarono a chiedergli di lasciare la stanza per parlare con ELIZA “in privato”. Questa risposta emotiva spinse Weizenbaum a riflettere profondamente sui rischi psicologici e sociali dell’affidarsi alle macchine per conversazioni sensibili, ponendo le basi per un dibattito etico ancora attuale. Perché ELIZA è ancora importante Sebbene elementare rispetto ai sistemi moderni, ELIZA rappresenta una pietra miliare per diversi motivi: È il primo esempio di elaborazione del linguaggio naturale applicato a una conversazione. Ha mostrato come la forma del linguaggio possa creare illusione di comprensione, anche senza intelligenza reale. Ha inaugurato il filone dei dialog systems, precursori dei chatbot contemporanei. Ha sollevato domande etiche fondamentali sulla relazione uomo-macchina. L’eredità di ELIZA Oggi assistenti come ChatGPT, Alexa o Siri usano tecniche immensamente più avanzate, ma il principio che ELIZA introdusse — la possibilità di interagire con una macchina attraverso il linguaggio naturale — resta centrale. ELIZA rimane un simbolo dell’inizio di un percorso che continua a trasformare il nostro rapporto con la tecnologia. In un’epoca in cui i chatbot partecipano a conversazioni complesse, generano testi e persino emozioni, ricordare ELIZA significa riconoscere il punto di partenza di una delle rivoluzioni più affascinanti della storia dell’informatica.
Autore: by Antonello Camilotto 11 dicembre 2025
Negli ultimi anni, il ruolo degli algoritmi dei social network nel plasmare l’opinione pubblica è diventato un tema centrale nel dibattito pubblico. Piattaforme come Facebook, Instagram, TikTok e X (ex Twitter) selezionano e mostrano contenuti in base alle preferenze degli utenti, con l’obiettivo dichiarato di massimizzare il coinvolgimento. Ma questa personalizzazione può trasformarsi in un meccanismo capace di influenzare, se non addirittura alterare, le opinioni politiche. Gli esperti parlano spesso di “bolle informative”: spazi digitali in cui gli utenti vengono esposti principalmente a contenuti che confermano le proprie convinzioni. Gli algoritmi, riconoscendo ciò che piace o indigna, tendono a proporre materiale simile, limitando la diversità di punti di vista. Questo processo, in apparenza innocuo, può però amplificare polarizzazione e radicalizzazione. La questione si complica ulteriormente in periodo elettorale. Studi accademici mostrano che la semplice modifica dell’ordine delle notizie o delle raccomandazioni può influenzare le percezioni di affidabilità delle fonti e persino il comportamento di voto. Pur non essendoci prove definitive di manipolazioni su larga scala, il potenziale è sufficiente a preoccupare sociologi e regolatori. Le piattaforme respingono le accuse, sostenendo che gli algoritmi non hanno fini politici e che le scelte degli utenti restano il fattore principale. Tuttavia, mentre i governi discutono nuove norme sulla trasparenza, restano aperte domande cruciali: quanto davvero questi sistemi incidono sulla democrazia? E soprattutto, chi controlla chi controlla gli algoritmi? ๏ปฟ
Autore: by Antonello Camilotto 9 dicembre 2025
In ambito informatico, è comune sentire parlare di “schermo blu della morte” o "Blue Screen of Death" (BSOD). Questo fenomeno è tanto temuto dagli utenti quanto affascinante per chi cerca di comprendere le dinamiche interne dei sistemi operativi. Ma perché, quando si verifica un guasto informatico, lo schermo del computer diventa blu? Cerchiamo di approfondire l'argomento. L'origine dello schermo blu Il termine BSOD è legato principalmente ai sistemi operativi Microsoft Windows. Si tratta di un errore di sistema critico che costringe il computer a interrompere tutte le operazioni per prevenire danni ulteriori. L'apparizione dello schermo blu è accompagnata da un messaggio di errore che offre informazioni sul tipo di problema riscontrato. Scelta del colore blu La scelta del colore blu per lo schermo di errore non è casuale. Ci sono diverse ragioni per cui Microsoft ha optato per questo colore specifico: 1. Visibilità e contrasto: Il blu, soprattutto in tonalità scura, offre un buon contrasto con il testo bianco o giallo, rendendo le informazioni sull'errore più leggibili. Questa caratteristica è cruciale, poiché l'utente deve poter leggere e interpretare il messaggio di errore per poter prendere le opportune azioni correttive. 2. Calma e professionalità: Psicologicamente, il colore blu è associato alla calma e alla professionalità. Di fronte a un problema grave del sistema, è importante non allarmare eccessivamente l'utente. Un colore come il rosso, per esempio, potrebbe indurre un senso di urgenza e panico. 3. Standardizzazione e riconoscibilità: Utilizzare uno stesso colore per tutti i messaggi di errore gravi aiuta a creare uno standard riconoscibile dagli utenti. Nel tempo, lo schermo blu è diventato sinonimo di guasto critico, facilitando la comunicazione tra utenti e tecnici informatici. Cause del BSOD Lo schermo blu può apparire per diversi motivi, tra cui: 1. Errori hardware: Problemi con la memoria RAM, guasti al disco rigido, o malfunzionamenti della scheda madre possono causare il BSOD. Questi problemi sono spesso legati a componenti fisici del computer. 2. Driver malfunzionanti: I driver sono software che permettono al sistema operativo di comunicare con l'hardware. Driver corrotti, incompatibili o mal configurati possono portare a gravi errori di sistema. 3. Software e aggiornamenti: Alcuni software possono causare conflitti con il sistema operativo, specialmente se non sono stati testati accuratamente. Anche aggiornamenti di sistema non riusciti possono provocare il BSOD. 4. Virus e malware: Software dannoso può corrompere file di sistema o alterare il funzionamento del computer, portando a errori critici. Come affrontare il BSOD Di fronte a uno schermo blu, è importante mantenere la calma e seguire alcuni passaggi per risolvere il problema: 1. Leggere il messaggio di errore: Spesso, lo schermo blu fornisce un codice di errore o un messaggio che può indicare la causa del problema. 2. Riavviare il computer: A volte, un semplice riavvio può risolvere problemi temporanei. Tuttavia, se il BSOD persiste, è necessario indagare ulteriormente. 3. Aggiornare i driver: Assicurarsi che tutti i driver siano aggiornati e compatibili con il sistema operativo. 4. Controllare l'hardware: Eseguire test diagnostici sulla memoria e sui dischi rigidi può aiutare a identificare eventuali guasti hardware. 5. Scansione antivirus: Eseguire una scansione completa del sistema per rilevare e rimuovere eventuali malware. Lo schermo blu della morte è una manifestazione visiva di un problema critico nel sistema operativo. Sebbene possa sembrare un evento catastrofico, è un meccanismo di protezione che aiuta a prevenire danni maggiori. Comprendere le cause del BSOD e sapere come affrontarlo può aiutare gli utenti a risolvere i problemi più rapidamente e con maggiore efficacia. E ricordate: dietro ogni schermo blu c'è un'opportunità per imparare di più sul funzionamento interno dei nostri fidati computer.
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